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LA “PASTORELLA” RUTIGLIANESE

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A proposito di "Pastorella", e del dibattito che hanno suscitato su rutiglianoonline le varie iniziative organizzate su questa tradizione natalizia, il giornalista Gianni Capotorto, esperto di tradizioni e cultura locali, ci ha inviato un stralcio del suo ultimo libro ancora inedito, ma di prossima pubblicazione, dal titolo "Lunario Rutiglianese: dodici mesi di Feste, Sagre e Tradizioni popoplari". IL passaggio che qui pubblichiamo riguarda proprio la storia della "Pastorella Rutiglianese".



di Gianni Capotorto


La notte tra il 23 e il 24 Dicembre sono in tanti i Rutiglianesi che rimangono svegli per ascoltare la Pastorella. Si tratta di tradizioali nenie natalizie che nella tranquillità notturna della vigilia della Natività, vengono eseguite da diversi improvvisati gruppi musicali e vocali, con pantica memoria, trascinandosi con misurata lentezza e meravigliosa dolcezza per le vie della città.

La “Pastorella” (diminutivo di pastorale, in ceco: pastorela) è un tipo di composizione sacra legata ai riti del Natale, nato nell'Europa centrale nella seconda metà del XVII secolo. È musicata per coro o solisti e per piccola orchestra. Mediante la “Pastorella” si rappresenntavano eventi correlati al periodo natalizio: l'annunciazione di mezzanotte, l'apparizione degli angeli, risveglio e il dialogo dei pastori e la loro offerta dei doni a Gesù Bambino e soprattutto il Kindelwiegen (in ceco, kolébání: la tradizione popolare in auge in passato di “cantar la ninna nanna al nascituro Gesù”. La prima menzione di una composizione come “Pastorella” risale al 1669 ed è contenuta in una lettera inviata al vescovo di Olomuc (Repubblica Ceca). Dagli inizi del XVIII secolo le “Pastorelle”, sia in latino che in vernacolo si diffusero in altri territori dell'Europa. In Italia trovarono terreno fertile soprattutto nel Lazio, in Abruzzo e in Molise e successivamente in Puglia (attraverso le “transumanze”): in molti centri di queste regioni ancora oggi, si usa cantare per strada di notte “la ninna nanna al nascituro Gesù”.   

Tornando alla tradizione della “Pastorella” rutiglianese”, un tempo, la notte tra il 23 e il 24 Dicemnbre, i fornai della nostra città giravano per le strade, accompagnati dall’allegro suono della chitarra e della fisarmonica. Con il loro canto annunciavano la nascita di Gesù Bambino e invocavano il Santissimo Sacramento in favore dei concittadini che non avevano nemmeno un pugno di farina per rendere più festoso il Natale. Ad ogni crocicchio si levavano le loro grida che squarciavano la quiete notturna: “Sie lodet Gesù e Marie, jousc e sembr. Ce ten a farein avva trmbrè e cudd ca na n’ten u’aiut u’Sandissim Sacramend” (“Siano lodati Gesù e Maria, oggi e sempre. Chi ha farina, faccia il pane e quello che non ne ha lo aiuti il Santissimo Sacramento”). Con i fornai, il compito di accompagnare il sonno dei rutiglianesi sino alla loro levata prima dell’alba per andare a partecipare in chiesa alla messa della “Novena di Gesù Bambino”, era affidato anche agli “zampognari” e ai “pifferai” che scendevano appositamente dai monti del Lazio e dell’Abruzzo.

Oggi la “Pastorella” viene interpretata da nuclei famigliari e gruppi di amici che percorrono instancabilmente Rutigliano in una insolita e suggestiva marcia notturna, al ritmo di sonorità strutturalmente semplici ma toccanti. Fra i principali “attori” di questa straordinaria e inconsueta “rappresentazione” di strada, è da annoverare sicuramente il MASCI, della parrocchia Addolorata, erede di un impegno assunto nel Natale del 1962, allorché si compì una storia che con struggente intensità emotiva è stata tramandata da mons. Agostino Pedone nelle sue preziose memorie.

“Lo zelo goliardico di un prete rutiglianese (mons. Vito Suglia, n.d.a.) fece scendere tra noi dalla lontana Ciociaria, tale Michele Severini, perché con il suo bravo piffero portasse una nota di colore montagnolo alla festa più attesa dell’anno; si mise pure ad istruire un manipolo di scouts, perché gli servissero d’aiuto, prima, e di continuatori, poi, nel suonare la pastorella quando egli sarebbe tornato nella sua  terra. Michele, però, non doveva tornare più ai suoi cari monti! Fattosi conoscere per la sua abilità non solo nel suonare, ma ancora in ogni lavoro del braccio, e, soprattutto, per la bontà del suo animo, trovò ospitalità e lavoro da noi, vi chiamò i genitori e le sorelle, dando in qualche modo una certa serena tranquillità all’esistenza, per nulla agiata, di un’intera famiglia.

Tutto il paese aveva imparato a conoscerlo il caro Michele. E sì che la sua campagna natalizia era stata molto feconda: giro per le campagne, di notte, alle cascine degli amici. Ma poi era bello vedere Michele durante il giorno, tutto soddisfatto del suo lavoro…notturno, non starsene in panciolle: concorreva anche lui alla sistemazione di uno spiazzo per la palestra di un costruendo oratorio per fanciulli. E più bello era ancora vederlo assistere alle sacre funzioni domenicali e accostarsi con fervore ai Sacramenti. (…). Ma il 22 giugno 1963 era scritto dover essere l’ultimo giorno di sua vita: povero, caro pifferaio era venuto a Rutigliano per trovarvi la …morte!
Irrorava le viti con un potentissimo insetticida: folate di vento contrario gli avevano invaso il bel volto e soffocato i giovani polmoni: ne fu attaccato fulmineamente; si accasciò sul campo di lavoro: aveva 23 anni! Michele non è più, ma ogni anno, tornando le feste natalizie, al risentire le belle nenie al neonato Signore, il pensiero dei rutiglianesi correrà a Michele che, ormai nel cielo, si diletta della musica degli Angeli”.

TRADIZIONALE “PASTORELLA”
RUTIGLIANESE

A nott d’Natal nons dorm
Nascett Gesù Bammein
alla Madonn (due volte)

Pargolett Pargolett
La Madonn sta fesc
u’calzett
Lu sta fesc fein fein
Ng’la va mett a Gesù Bammein

Tulì tulì
ù pastor son ij
È net u’Bammein
alla cas d’Peppein
C ‘tant allegrj
alla cas d’Marij

ALTRE TRADIZIONI DEL NATALE RUTIGLIANESE
La sera di Natale, l’antica famiglia patriarcale si riuniva in casa, il figlio maggiore portava alla madre un ceppo grande, ‘nu stuezz gruoss; la madre, recitando il pater noster, vi disegnava con l’olio il segno della croce e lo teneva acceso per tutta la notte perché la Madonna potesse asciugare i panni del Bambino: Infatti uno stornello che si cantava per le strade dice così:

Femm’n e femmnedd,
app’ceit’u fuocariedd,
c’à o và v’nì a Madonn cu Bambnedd
c’à o v’ass’cquè i pannariedd

(“Femmine e femminelle, accendete il fuocherello, perché verrà la Madonna con il Bambinello per  asciugare i panni”).

Un’altra tradizione racconta che la notte di Natale si liberasse un asinello con una cesta piena di paglia e lo si abbandonasse nelle campagne perché prendesse posto nel presepe.
Sempre la notte della vigilia, il garzone del fornaio passava per le strade del paese e dopo aver suonato la tromba declamava:

Alzat’v, femm’nedd app’neit
a cala’redde faceit
u p’n beddca
è n’t u bambnedd

(“Alzatevi, donne, appendete la caldaia e preparate il pane bello, perché è nato il bambinello”)

Il pane “bello” è u’taraduzz, il tipico pane di Natale rutiglianese, fatto con mandorle tostate, che grazie alla Libera Università della Terza Età “Lia Damato” e alla sig.ra Caterina Franchini, è stato da alcuni anni riportato in auge e oggi sono in diversi a riprodurlo.Il
momento fondamentale della vigilia era la preparazione del latte di mandorle, una tradizione molto antica e radicata nell’animo dei rutiglianesi, tanto che correva questo detto: Iè Nat’l, i min’l so’ ch’r, u’latt alla min’l non s’ pout fè e brutt’ n’a m’acchiè  (“È Natale, le mandorle sono costose, il latte di mandorle non si può fare e male ci troveremo”).
La preparazione avveniva secondo modi e riti che rivelavano tutta l’antica sacralità.
Nella casa nella quale si preparava il latte di mandorle le porte dovevano essere sbarrate, era vietato ridere, bestemmiare, ma bisognava pregare con fervore. Intorno alla sua preparazione si tramanda una leggenda. La leggenda dice che mentre il latte cuoceva, se si pregava con fede, affiorava una massa di olio, spesso illimitata. La gente raccoglieva l’olio in otri e lo utilizzava per uso comune. Questo miracolo si verificava nelle case abitate da gente umile e pia.

Consentitemi di chiudere queste brevi note storiche con un omaggio alla “musa” della cultura rutiglianese, Lia Damato, di cui riporto un suo breve componimento in vernacolo

‘A jioi d’Nat’l

‘A jioid’ Nat’l
s’impeil p’ tutt’i sc’l
appicc u presep’, i pein
u’occh d’ tutt’i mninn
poj s’affacc e balcoun.
v’appenn i festoun
sciurl abbasc, ind’a str’t
l’mnaesc v’trein e c’nndrd
poj fousc vers a chieis
daov na cambn attaes annunztt ind’a nu fiet:
u re di m’ninn è n’t

(“La gioia di Natale”
“La gioia di Natale si infila per tutte le scale,
accende il presepe, i pini, gli occhi di tutti i bambini.
Poi si affaccia ai balconi, vi appende festoni,
scende giù nella strada, illumina vetrine e contrade,
poi corre verso la chiesa dove una campana attesa
annuncia tutto d’un fiato: Il re dei bambini è nato”).

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