Sab04052024

Last update10:35:38 PM

banner conad 2016    banner arborea corretto  

banner madel 2022

                            banner store H24 2023  

 


candidati-sindaco-2024-2

Back Sei qui: Home Notizie Attualità IL NUCLEARE SICURO E A BASSO COSTO NON ESISTE

IL NUCLEARE SICURO E A BASSO COSTO NON ESISTE

Condividi


























Su rutiglianoonline si sta sviluppando un dibattito sulle centrali nucleari, dibattito stimolato dal referendum di giugno. Ripropongo qui una mia inchiesta sul nucleare in Italia e in Puglia, ancora attuale, pubblicata sul quotidiano "il Levante" del 27 luglio 2008. L'inchiesta ruota intorno all'opinione e ai fatti raccontati da due scenziati di fama internazionale. (G. N.)




E’ l’opinione di Carlo Rubbia e Jeremi Rifkin,
fisico premio nobel italiano ed economista americano

Centrali e scorie nucleari: il rischio che corre la Puglia


E’ stato un metallo bianco, il cobalto 58, fuoriuscito da un tubo sottoforma di polvere radioattiva ad investire e contaminare mercoledì scorso, mentre stavano facendo manutenzione, 100 operai della centrale nucleare di Tricastin nel Sud della Francia. Oltre a questo, tra il 18 e il 21 luglio ci sono stati ancora due incidenti in altri due diversi impianti nucleari, sempre nel Sud della Francia.

Anche se -secondo le autorità addette alla sicurezza- si tratta di incidenti “lievi”, questi stanno comunque scuotendo la fiducia dell’opinione pubblica francese nella sicurezza delle proprie centrali. Un mito, quello della sicurezza, che comincia ad incrinarsi nel paese più nuclearizzato d’Europa, in cui l’80% del fabbisogno di energia elettrica è prodotta da 58 reattori atomici stipati in 19 centrali nucleari sparse su tutto il suo territorio nazionale.

La crescente insicurezza potrebbe essere l’effetto di una tecnologia ormai datata. Quella di Tricastin, ad esempio, è una centrale costruita nel 1980. Nei quattro paesi confinanti con l’Italia ci sono centrali nucleari che risalgono addirittura agli anni ’70, uno scenario piuttosto inquietante se si considera che 25 di quei reattori si trovano a ridosso delle Alpi, cingendole da Ovest ad Est.

Oggi però si parla di nucleare di III e IV generazione, tecnologicamente più affidabile e sicuro dell’attuale; centrali alle quali il governo Berlusconi vuole affidare il destino energetico dell’Italia. Sono note, infatti, le tendenze nucleariste dell’attuale governo e dell’intero PDL. «Entro questa legislatura porremo la prima pietra per la costruzione nel nostro paese di un gruppo di centrali nucleari di nuova generazione», ha detto a maggio scorso Scajola, ministro dello sviluppo economico.
Anche la confindustria non vede l’ora di tuffarsi a capofitto nel megabusiness atomico. «E’ tempo di tornare ad investire nel settore dal quale ci hanno escluso più di venti anni fa decisioni emotive e poco meditate», ha detto qualche tempo fa alla sua platea di industriali l’attuale presidente Emma Marceglia.

RUBBIA E RIFKIN
Certo, di fronte a una problematica così complessa e tecnica, cittadini e ambientalisti possono anche avere un approccio emotivo e poco meditato. Ma se ci si rivolge a persone che in materia avrebbero da insegnare a tutti, non è che il nucleare susciti grandi entusiasmi palingenetici rispetto alla epocale questione energetica italiana e mondiale.

«Il nucleare classico, compreso quello di quarta generazione, non può aspirare a una diffusione su larga scala soprattutto per i problemi legati alle scorie radioattive di lunga vita», ha detto l’anno scorso Carlo Rubbia -premio Nobel per la Fisica nell’84- in un confronto che si è tenuto a Milano con Umberto Veronesi, oncologo e sostenitore del nucleare. «Anche se non c’è forma di energia senza pericolo, quelli associati al nucleare, permettimi di dirlo, non sono da sottovalutare. Ecco il motivo per cui io sono prudente», ha detto ancora Rubbia in quella occasione.

Jeremi Rifkin, economista americano fautore dello sviluppo economico basato sull’idrogeno, è della stessa opinione di Rubbia: «Il problema del nucleare -dice- è che si tratta di una energia con bassa probabilità di incidente, ma ad alto rischio: non succede quasi mai niente di brutto, ma se qualcosa va storto può essere una catastrofe, come a Chernobyl”. Ma i dubbi di scienziati di questo calibro vanno oltre la questione della sicurezza.

Un altro cavallo di battaglia dei sostenitori del nucleare civile è che questo permetterebbe il riscatto dalla dipendenza dal petrolio, che ha raggiunto costi al limite del sostenibile. Rispetto al nucleare «la preoccupazione cresce ulteriormente se si tiene conto che circa 1/3 dell’Uranio utilizzato proviene oggi da stock militari in via di esaurimento», è ancora Rubbia che parla, questa volta nella giornata di studi sul nucleare organizzata dai parlamentari radicali e dall’associazione “Amici della Terra” l’11 luglio scorso presso la Camera dei Deputati. «Qualora l’estrazione mondiale di uranio -ha detto il premio Nobel- non fosse incrementata del 50% nei prossimi anni, l’uranio diverrà insufficiente anche a consumo costante. Diventerà comunque progressivamente più difficile produrre uranio, in quanto le miniere ancora da utilizzare sono solo quelle a minore tenore uranifero». «La situazione dell’uranio -ha aggiunto- ricorda quindi terribilmente quella del petrolio» e, nel caso del combustibile nucleare, gli aumenti di prezzo non solo legati all’aumento dei consumi «ma alla pura riduzione delle disponibilità sul mercato». Rubbia ha avvertito che il costo dell’ossido di uranio attualmente è di 130 dollari americani a libra, «supponendo un costo futuro a 500 US$/lb si avrebbe un drammatico aumento dal 50 al 70% dei costi di produzione» dell’energia.

Se il governo, dunque, dovesse insistere nella scelta nucleare non farebbe altro che spingere l’Italia verso un’altra, più insidiosa, dipendenza energetica; legherebbe il Paese alla catena dell’uranio senza, tra l’altro, aver reciso del tutto le catene che lo legano al petrolio.

CO2 E SCORIE
L’altro argomento addotto dai sostenitori del nucleare è che solo così si potrà rispettare il Protocollo di Kyoto, che impone la riduzione del principale gas serra, il CO2. Rubbia non crede che il nucleare possa svilupparsi  da qui a dieci anni «nelle dimensioni necessarie all’abbattimento dell’effetto serra».

Attualmente nel mondo sono in funzione 439 centrali nucleari che forniscono un limitato 5% dell’intera energia prodotta a livello globale. Perché il nucleare possa produrre un effetto benefico sul clima «bisognerebbe -dice Rifkin- costruire 3 centrali ogni trenta giorni per i prossimi 60 anni». «Così facendo -prosegue- fornirebbe il 20% di energia totale, la soglia critica che comincia a fare una differenza» nella progressiva diminuzione dell’anidride carbonica nell’atmosfera. L’economista si chiede se «c’è qualcuno sano di mente che pensa che si potrebbe procedere a questo ritmo».

Sono, questi, argomenti forti che da soli basterebbero a far riflettere i pasdaran della fissione dell’uranio, ma se a questi aggiungiamo anche l’argomento delle scorie nucleari e delle dismissioni delle centrali, il gradimento per questo tipo di energia si fa ancora più basso.

Da nessuna parte nel mondo si è risolto il problema dello smaltimento sicuro del materiale fissile esausto che rimane attivo e radioattivo per migliaia di anni. Dopo venti anni dalla fine del nucleare l’Italia non sa ancora oggi dove "ricoverare" le 55.000 tonnellate di scorie nucleari delle sue quattro centrali ormai dismesse. Negli Stati Uniti «hanno investito 8 miliardi di dollari in 18 anni per stoccare i residui all’interno delle montagne Yucca -dice Rifkin- dove avrebbero dovuto restare al sicuro per quasi 10 mila anni. Bene, hanno già cominciato a contaminare l’area nonostante i calcoli, i fondi e i superingegneri. Davvero l’Italia crede di fare meglio di noi?».

NUCLEARE IN PUGLIA
La vulgata nuclearista che monta in Italia ha rispolverato vecchi progetti e nuovi siti che riguardano anche la Puglia, una delle regioni da sempre preferite quando si pensa al nucleare nel Mezzogiorno. Già il territorio di Carovigno (BR) e Avetrana (TA), a cavallo tra i gli anni ’70 e ’80 fu individuato come sito di due centrali nucleari pianificate dal governo di allora e che sarebbero state realizzate se le popolazioni e il movimento antinucleare e ambientalista non si fossero messi di traverso.

Ora spuntano altri tre siti potenziali: Nardò, Manduria e Mola di Bari. Non si è trattato di solo voci se quest’ultimo comune ha subito allarmato il consiglio comunale che, qualche giorno fa, ha deliberato la non disponibilità dei molesi ad ospitare qualsivoglia centrale sul proprio territorio.

Il nucleare in Puglia è un assurdo, non solo per i motivi sopra descritti, ma perché una centrale di questo tipo è una instancabile divoratrice di acqua potabile, risorsa di cui la Puglia certo non abbonda. «Temo che non sia noto a tutti che circa il 40% dell’acqua potabile francese serve a raffreddare i reattori», ha detto Rifkin a "Repubblica" il 7 giugno scorso. E’ facile immaginare come una centrale nucleare -figuriamoci tre- sia incompatibile in una regione con endemici problemi di approvvigionamento idrico.

Ma quello delle centrali in Puglia non è l’unico sconvolgente scenario nucleare. C’è la questione delle scorie che la Sogin non sa ancora deve mettere e per cui è alla ricerca disperata di siti idonei al loro millenario ricovero. Nel 2002 uno studio dell’ENEA ha individuato 214 aree in Italia adatte ad ospitare un deposito nazionale di rifiuti nucleari.
In quell’elenco di potenziali siti i più numerosi si trovano in Puglia (65), in Toscana (55) e in maniera minore in altre regioni. La Puglia dunque porta questo triste primato nella quantità di siti potenzialmente idonei a seppellire le scorie nucleari, uno scenario inquietante già a pensarlo oggi, figuriamoci immaginando un’Italia con due, tre centrali nucleari nella maggior parte delle sue regioni, se non in tutte.


Gianni Nicastro

Aggiungi commento

Codice di sicurezza
Aggiorna