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LÈON, LA PIANTA E MATHILDA

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di Andrea Costanza

Credo sia impossibile non innamorarsi di “Léon”, pellicola noir diretta e scritta dal regista francese Luc Besson. Il quale, nel corso della sua carriera, ha sfornato altri apprezzabili film, come ad esempio “Nikita” e “Angel-A”; eppure, credetemi, al confronto, Léon è decisamente inarrivabile. Difatti è impossibile non innamorarsene. Anche qui l'intera trama è incentrata sulla figura di un killer, un sicario. Permettetemi una piccola premessa. Per quanto ne so, la cinematografia mondiale è piena di queste figure carismatiche, ma dense, spesso, di una forte carica antitetica.

In proposito, è bene citare altre pellicole affascinanti come “Frank Costello, faccia d'angelo” di Jean-Pierre Melville (il re del noir) e l'assai (e ingiustamente) sottovalutato “Ghost Dog – Il codice del samurai” di Jim Jarmusch. Ma perché sono personaggi antitetici, questi killer cinematografici? Il motivo è presto detto: sono dominati dal paradosso. Violenti e sanguinari nelle loro mansioni quotidiane, ma guidati al contempo da un codice d'onore intriso di integrità e purezza, trascinati da un misticismo crepuscolare. Paiono quasi degli asceti, in costante ricerca di quiete e libertà, isolati da un mondo crudele e sudicio cui sentono di non appartenere. Ecco dove si cela il paradosso. Ma chissà. Come tutti i veri e autentici buoni, dalla cui pudicizia intendono trarre nutrimento, forse anche queste figure hanno il bisogno di apparire più brutte e sporche di quanto non lo siano realmente.

Ma ritorniamo a Léon, che è anche il nome del protagonista, interpretato da un bravissimo Jean Reno. Questo killer è una macchina da guerra. Ligio ed efficiente. Un eremita, un solitario, alla cui realtà intende approcciarsi solo mediante le sue mansioni immorali. Possiede solo un'amica, che tratta con rispetto e spasmodica cura: una pianta. Come i robot, egli non dorme su di un letto, abbracciato da calde e morbide coperte. Nossignori. Dorme seduto su una poltrona, munito di occhiali da sole e rivoltella. Le sue movenze paiono ricordare quelle di un bimbo solo un po' cresciuto. Infatti il “bimbo” Léon non beve alcolici di nessun genere. Nossignori. La sua bevanda preferita è il bianco latte. Il beveraggio dei fanciulli.

Accanto al suo appartamento, vive una famiglia alquanto disastrata, il cui capofamiglia pare irrimediabilmente colluso col crimine organizzato. Però tra di loro c'è una graziosa bimba, dal cui habitat familiare è privata di qualsivoglia attenzione e affettività. Anche lei pare solitaria. C'è solo il fratellino, lui sì amato da lei e viceversa, a farle compagnia. Sarà la fatalità a far intrecciare le vite del malinconico Léon e dell'innocente Mathilda, interpretata dal volto angelico di Natalie Portman. La sua famiglia verrà sterminata, e lei, scampata fortuitamente al massacro, troverà ospitalità proprio da Léon. I due faranno amicizia, e nel bel mezzo della coabitazione si scambieranno persino dei favori: lui le insegnerà a “fare le pulizie”, mentre lei gli insegnerà a leggere e scrivere, dal momento che il nostro sicario è completamente analfabeta. Tra loro, strano ma vero, scoppierà un amore casto, incontaminato, platonico, che va oltre la corporalità, l'effusione di matrice sessuale. Utopia allo stato puro, specie di questi tempi.

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