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Dalla collina di Posillipo in Napoli la «teologia cattolica» diventa «mediterranea»

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Don Pasquale Pirulli
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Il 21 giugno 2019 papa Francesco da Roma con un breve volo in elicottero è sceso al parco Virgiliano e poi in macchina si è recato alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale – Sezione San Luigi che è sulla collina di Posillipo. Dal piazzale della stessa si gode uno dei panorami più suggestivi del golfo di Napoli fino alla costa amalfitana e alle isole di Ischia e Capri e Procida. Su quel piazzale negli anni passati hanno passeggiato alcuni amici sacerdoti che vorrei ricordare: Mons. Martino Scarafile, D. Franco Renna, D. Lorenzo Renna, D. Vincenzo Vitti, D. Angelo Fanelli, D. Angelo Benedetti, D. Vito Benedetti e anche il sottoscritto. Il papa è intervenuto alla conclusione del convegno “La teologia dopo la Veritatis Gaudium nel contesto del Mediterraneo”, promosso dalla stessa PFTIM-Sez. S. Luigi e che si concludeva nel giorno in cui la chiesa fa memoria del santo dei giovani che tradusse la sua teologia nel servizio di carità agli appestati di Roma volando alla contemplazione di Dio il 21 giugno 1591all’età di 23 anni.

Il papa è stato ricevuto dal Gran Cancelliere della Facoltà Card. Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, da S. Ecc. Mons. Francesco Marino, vescovo di Nola, da P. Arturo Sosa Abascal S. J. preposito generale della Compagnia di Gesù, da P. Gianfranco Matarazzo S.J. superiore della provincia d’Italia, da P. Giuseppe Di Luccio S.J, preside della Sezione S. Luigi, P. Domenico Marafioti S.J. superiore della comunità di San Luigi, e da P. Francesco Beneduce S. J. superiore del Pontificio Seminario Campano.

Dopo i saluti rituali da parte delle autorità accademiche e degli studenti, papa Francesco ha tenuto il suo discorso che è una lezione sulla teologia cattolica che si confronta con le comunità civili e le culture che si affacciano sulle rive del «Mare Nostrum»”.     

Il papa alza il suo sguardo sul Mediterraneo e così lo definisce: “Il Mediterraneo è da sempre luogo di transiti, di scambi, e talvolta anche di conflitti. Questo luogo ci pone una serie di questioni, spesso drammatiche. Esse si possono tradurre in alcune domande che ci siamo posti nell’incontro interreligioso di Abu Dhabi: come custodirci a vicenda nell’unica famiglia umana? Come alimentare una convivenza tollerante e pacifica che si traduca in fraternità autentica? Come far prevaler nelle nostre comunità l’accoglienza dell’altro e di chi è diverso da noi perché appartiene a una tradizione religiosa e culturale diversa dalla nostra? Come le religioni possono essere vie di fratellanza anziché muri di separazione?”. Dinanzi a questa realtà il papa chiede a tutti “un impegno generoso di ascolto, di studio e di confronto per promuovere processi di liberazione, di pace, di fratellanza e di giustizia”.

Papa Francesco, riferendosi al tema del convegno, pone la domanda cruciale e attuale: quale teologia è adeguata al contesto del Mediterraneo? Ecco la sua risposta: “La teologia è chiamata ad essere una teologia  dell’accoglienza e a sviluppare un dialogo sincero con le istituzioni sociali e civili, con i centri universitari di ricerca, con i leader religiosi e con tute le donne e gli uomini di buona volontà, per la costruzione nella pace di una società inclusiva e fraterna e anche per la custodia del creato”. Egli ricorda che per fare buona teologia sarà bene approfondire il kerigma e praticare il dialogo. La Chiesa è impegnata nell’evangelizzazione “non l’apologetica, non i manuali” ma con il metodo proprio di Cristo, cioè quello del discernimento e dell’annuncio della parola di amore. A papa Francesco è molto cara la categoria del discernimento ed egli ricorda che “Il discernimento conduce alla fonte stessa della vita che non muore, cioè “che conoscano, l’unico vero Dio, e colui che ha mandato, Gesù Cristo (Gv 17,3)”. Papa Francesco propone una teologia che sia pratica di discernimento e di dialogo. Un dialogo che non sia soltanto dall’alto in basso ma anche dal basso in alto, cioè leggere alla luce dell’evento di Pasqua la realtà della storia e del creato perché si tratta di “comprendere come la realtà storica e creata viene interrogata dalla rivelazione del mistero dell’amore di Dio”. Proprio i due movimenti   “sono necessari, complementari: un movimento dal basso verso l’alto che può dialogare, con senso di ascolto e discernimento, con ogni istanza umana e storica, tenendo contro di tutto lo spessore dell’umano; e un movimento dell’alto verso il basso – dove “l’alto” è quello di Gesù innalzato sulla croce – che permette, nello stesso tempo, di discernere i segni del Regno di Dio nella storia e di comprendere in maniera profetica i segni dell’anti-Regno che sfigurano l’anima e la storia umana”.

Si tratta di coniugare “dialogo e annuncio” sullo stile di San Francesco di Assisi che, dopo il suo viaggio con la partenza dal porto di Ancona il 24 giugno 1219 attraverso il Mediterraneo per incontrare a Damietta e dialogare con il sultano Malek-al-Kamil, raccomandava ai suo frati nella «Regola non bollata»: “Un modo è che non facciano liti o dispute, ma siano soggetti a ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani” (XVI, FF 43). Il secondo modo è quello della testimonianza: “Predicate il Vangelo; se fosse necessario anche con le parole”.

Papa Francesco delinea la testimonianza secondo la docilità allo Spirito: “(Essa) implica uno stile di vita e di annuncio senza spirito di conquista, senza volontà do proselitismo – questa è la peste! – e senza un intento aggressivo di confutazione. Una modalità che entra in dialogo “dal di dentro” con gli uomini e con le loro culture, le loro storie, le loro differenti tradizioni religiose; una modalità che, coerentemente con il Vangelo, comprendere anche la testimonianza fino al sacrificio della vita”. Egli ricorda Charles de Foucauld, i monaci trappisti di Tibhirine, di Pietro Claverie vescovo di Oran. Aggiunge il ricordo degli “artigiani della pace” Martin Luther King e Martin del Vasto e non può fare a meno di ricordare qui alla Facoltà di San Luigi a Posillipo anche il Beato Giustino Russolillo, suo alunno, e D. Peppino Diana “il giovane parroco ucciso dalla camorra, che pure studiò qui”. Bisogna evitare assolutamente la “sindrome di Babele”: “quella di non ascoltare quello che l’altro dice e di credere che io so quello che l’altro pensa e che l’altro dirà. Questa è la peste!”.    
  
Papa Francesco propone una teologia mediterranea dell’accoglienza  che sia prima di tutto dialogo: “Dialogo non è una formula magica, ma certamente la teologia viene aiutata nel suo  rinnovarsi quando lo assume seriamente, quando esso è incoraggiato e favorito tra docenti e studenti, come pure con le altre forme del sapere e con le altre religioni, soprattutto l’Ebraismo e l’Islam. Gli studenti di teologia dovrebbero essere educati al dialogo con l’Ebraismo e l’Islam per comprendere le radici comuni e le differenze delle nostre identità religiose, e contribuire così più efficacemente all’edificazione di una società che apprezza la diversità e favorisce il rispetto, la fratellanza e la convivenza pacifica”.

Con un sorriso papa Francesco ricorda “la scolastica decadente” che egli ha studiato nel passato: “Io ho studiato nel tempo della teologia decadente, della scolastica decadente, al tempo dei manuali. Fra noi si faceva uno scherzo, tutte le tesi teologiche si provavano con questo schema, un sillogismo: 1° Le cose sembrano essere così. 2° Il cattolicesimo ha sempre ragione. 3° Ergo…Cioè una teologia di tipo difensivo, apologetica, chiusa in un manuale. Noi scherzavamo così, ma erano le cose che a noi presentavano in quel tempo della scolastica decadente”.
Papa Francesco insiste sulla convivenza pacifica dialogica. Con gli islamici: “Con i musulmani siamo chiamati a dialogare per costruire il futuro delle nostre società e delle nostre città; siano chiamati a considerarli partner per costruire una convivenza pacifica, anche quando si verificano episodi sconvolgenti ad opera di gruppi fanatici nemici del dialogo, come la tragedia della scorsa Pasqua nello Sri Lanka”.    

Con gli ebrei: “Formare gli studenti al dialogo con gli ebrei implica educarli alla conoscenza della loro cultura, del loro modo di pensare, della loro lingua, per comprendere e vivere meglio la nostra relazione sul piano religioso.”. Egli esprime un auspicio: “Nelle facoltà teologiche e nelle università ecclesiastiche sono incoraggiare i corsi di lingua e cultura araba ed ebraica, e la conoscenza reciproca tra studenti cristiani, ebrei e musulmani”.

Un teologia dell’accoglienza impostata sul dialogo suggerisce che il dialogo sia un metodo di studio: dialogare anche con i testi sacri (Bibbia, Talmud e Corano) e poi il dialogo può diventare stile di una teologia “in un tempo e in un luogo specifico”. “Nel nostro caso: il Mediterraneo all’inizio del terzo millennio. Non è possibile leggere realisticamente tale spazio se non in dialogo e come un ponte – storico, geografico, umano – tra l’Europa, l’Africa e l’Asia. Si tratta di uno spazio in cui l’assenza di pasce ha prodotto molteplici squilibri regionali, mondiali, e la cui pacificazione, attraverso la pratica del dialogo, potrebbe invece contribuire grandemente ad avviare processi di riconciliazione e di pace. Giorgio La Pira ci direbbe che si tratta, per la teologia, di contribuire a costruire su tutto il bacino del Mediterraneo una “grande tenda di pace”, dove possano convivere nel rispetto reciproco, i diversi figli del comune padre Abramo. Non dimenticare il padre comune.”

Proprio il sogno profetica di Giorgio La Pira segna lo stile e la meta di una teologia, anche “interdisciplinare” con attenzione alla tradizione, “in dialogo” con la realtà multiculturale e pluri-religiosa del Mediterraneo, e “in rete” con gli altri centri di studio,   e segnata  dalla “compassione “verso le sofferenze degli altri di una teologia propria di una Chiesa «ospedale da campo» , fatta da uomini che nella ricerca della verità dell’unico Dio si riconoscono fratelli disposti non solo all’accoglienza ma anche all’ascolto e alla compassione vicendevole.

 

Alla ven. Maria Pia della Croce Notari

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