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Muiono dieci cani in un solo giorno e nello stesso luogo

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di Domy Divittorio

Quella del randagismo è una piaga che colpisce un gran numero di comuni italiani. Per contenere in parte il problema, la legge prevede che ci sia una solida collaborazione tra amministrazioni e A.S.L. e, in particolare, che i comuni si dotino di canili sanitari e rifugi. I costi di costruzione e gestione di queste strutture spingono sovente le amministrazioni a trascurare il problema e piuttosto ad affidarsi a imprese esterne che, non essendo il più delle volte oggetto di idonei e imparziali controlli, si trasformano per i nostri amici a quattro zampe in veri e propri lager.

Le difficoltà del caso ci sono, certo, ma grandi intanto sono gli atti di crudeltà come quello successo a febbraio scorso a Rutigliano. In una comunità molto sensibile al tema del rispetto degli animali ci si sarebbe aspettati che un caso di avvelenamento di cani creasse scalpore da subito. La realtà invece è che di questa storia quasi nessuno ancora oggi sa niente. O meglio, qualcuno sapeva, ma tendeva a minimizzare l’accaduto. E solo dopo essere venuti a conoscenza di quanto successo, è stato chiaro il motivo per cui nessuno ne hai mai parlato: perché questa brutta storia non riguarda solo l’avvelenamento di una decina di cani,  riguarda anche il comportamento tenuto dal comune e dalle autorità.

L’avvelenamento dei cani, purtroppo non certificato da nessuna autorità ma molto probabile, è avvenuto in contrada Madonna delle Grazie. A darci conferma dell’accaduto sono le stesse famiglie della zona, che per ben due anni hanno convissuto con il problema dei cani randagi. E di certo, quello del randagismo non è l’unico problema per queste famiglie, essendo la zona letteralmente lasciata a se stessa: terreni abbandonati "convertiti" in discariche a cielo aperto, asfalto distrutto, teloni fuori uso buttati ai bordi della strada. E poi, immancabili, pezzi di amianto in evidente stato di degrado. Il posto ideale per animali di tutte le specie.

La storia comincia due anni fa. I cani, attratti tanto dalla generale tranquillità della zona quanto dalla presenza di cibo tra i rifiuti, iniziano ad aggirarsi nella zona e con il tempo a divenire stanziali. Inizialmente, la presenza di questi randagi, ancora in numero esiguo, non crea problema alcuno ai cittadini. La convivenza inizia ad essere difficoltosa col passare del tempo perché il branco si fa più numeroso. E questo non solo in virtù dei naturali accoppiamenti, ma anche a seguito di abbandoni di altri cani ad opera di magnanimi padroni convinti che abbandonare un cane in un branco sia meno grave che abbandonarlo sul ciglio di una strada.

A detta degli abitanti, nel giro di una anno il branco è arrivato a contare una quindicina di cani, nonostante l’impegno degli stessi cittadini che, di tasca loro, hanno provveduto a sterilizzare le femmine. A questo punto, il problema maggiore diventa l’aggressività del branco. «Quando stavano tutti assieme -racconta Maria Suglia, un’abitante del luogo che da subito si è fatta carico del problema- erano spaventosi. Terribili. Non si poteva girare a piedi, né tantomeno in bici o in motorino. Il branco unito era aggressivo. Singolarmente erano buonissimi. Ma quando erano insieme c’era da avere paura».

Un ulteriore problema è dato dalla vicinanza del campo sportivo Time Out, la cui presenza è motivo di un continuo via vai di gente, soprattutto ragazzini a piedi. I residenti ci tengono comunque a precisare che mai si è verificato un caso di vera e propria aggressione. Solo una volta un anziano in bici è caduto per lo spavento, e tengono a sottolineare come, a seguito dell’accaduto, sia stata fatta una denuncia alle autorità competenti. «I vigili sapevano di questi cani. Sono passati da qui un sacco di volte, e io pure ho parlato loro del problema. Semplicemente, nessuno ha fatto niente», racconta il sig. Marzovilla, anch’egli abitante in zona. Quello del branco diventa un problema quotidiano per gli abitanti, esemplificativo è il caso del sig. Marzovilla: «diverse volte ho trovato il branco all’interno del mio giardino, entravano dal cancello automatico quando si apriva. Erano a due passi dalla mia abitazione, avevano tutto il tempo per intrufolarsi».

Trascorso un anno, gli abitanti decidono di passare all’azione. «Il problema era noto, ma non avevamo mai fatto una richiesta ufficiale di intervento. L’anno scorso però, divenuta la situazione insostenibile, abbiamo deciso di avvisare le autorità. In primis ci siamo rivolti all’ ANPANA (Associazione Nazionale Protezione Animali Natura Ambiente), anche perché nessuno di noi voleva che questi cani facessero una brutta fine», ci riferisce la sig.ra Suglia. Consigliati, i residenti decidono di promuovere una raccolta firme per chiedere al Comune l’accalappiamento dei cani. La richiesta, firmata da tutti i residenti della contrada, indirizzata principalmente al sindaco Roberto Romagno viene inviata, per conoscenza anche alla ASL di Mola di Bari, al comando dei vigili urbani e ai carabinieri. Tutte le autorità, dunque, sono allertate rispetto al problema.

Non succede niente. Nessuno dell’amministrazione comunale né un pubblico ufficiale prova anche solo a contattare gli abitanti per indagare il problema. «E’ avvilente -ci dice il sig. Marzovilla- questa zona è dimenticata da tutti. E anche quando chiediamo espressamente un intervento per un qualsiasi problema, non ci ascoltano. Avete visto la sporcizia? Le strade? I vigili passano, vedono e se ne vanno. Dopo la raccolta firme e la relativa consegna del documento alle autorità, non è successo niente. Niente. Una volta ho incrociato casualmente le guardie ecozoofile e ho chiesto loro se ci fossero novità. Mi hanno detto che il problema al sindaco è stato fatto notare tanto a voce quanto per iscritto, ma la risposta è stata che non ci sono soldi per queste faccende».

Ora, quello della mancanza, o insufficienza, di fondi è il leitmotiv degli ultimi anni, purtroppo, ma non è sempre la causa prima dei mancati interventi delle amministrazioni. Infatti, facendo qualche ricerca, si scopre che la ASL di Bari, il 27 novembre 2011, ha affidato, per un arco di tempo di due anni, il servizio di accalappiamento cani di Rutigliano e di altri comuni limitrofi alla cooperativa Natura Center di Cassano. Inoltre, il 28 febbraio 2013 il Comune ha rinnovato per un anno il contratto con la società M.A.P.I.A. di Bari per la prosecuzione del servizio giornaliero di ricovero e cura di cani, nonché dello smaltimento carcasse, impegnando una spesa di 28.000 euro.

Nel 2011, poi, l’amministrazione ha anche acquistato, su richiesta della ASL competente, 100 microchips per l’identificazione dei cani randagi. Il punto è che il Comune detiene gli strumenti per affrontare in modo legale il problema, ma non li utilizza. Sapere quanto ci costa la predisposizione di questi servizi, apprendere che non ne usufruisce nessuno e poi vedere che qualcuno ricorre a soluzioni illegali oltre che crudeli, è sconcertante. Soprattutto in tempi di spending review.

L’epilogo della storia arriva lo scorso 22 febbraio. Gli abitanti trovano le carcasse sparse per la zona: qualcuna sul ciglio della strada, altre nascoste nei campi. Alcuni cani sono ancora vivi, ma moribondi, in evidente stato di agonia. Chiedono l’intervento dell’ANPANA che, vista la situazione, informa la ASL Veterinaria di Mola di Bari -competente per il nostro territorio- la quale, però, non intervene per mancanza di mezzi e invita le guardie ecozoofile a contattare il comando dei vigili urbani che dovrebbero intervenire con l’ausilio del veterinario sanitario del canile cui il nostro Comune fa riferimento.

E' sera, i vigili dicono di non poter intervenire, che gli addetti della cooperativa Natura Center non sarebbero intervenuti e che, in sostanza, per il sopralluogo avrebbero dovuto aspettare il giorno seguente. A quel punto le guardie ecozoofile trasportano d’urgenza al centro veterinario di Valenzano un cucciolo in fin di vita, purtroppo anche per lui non c’è stato niente da fare, muore nelle mani dello stesso veterinario. Le guardie chiedono che venga fatta un’autopsia sul cucciolo ma, dati i costi dell’intervento, non se ne fa nulla. Il veterinario, comunque, riferisce che, considerando i sintomi, è presumibile un caso di avvelenamento.

Il giorno dopo nessun pubblico ufficiale interviene, si informa su quello che è successo. «Gli unici a venire sono stati gli addetti della ditta Gassi, che noi abbiamo chiamato per la rimozione di due carcasse che erano proprio davanti alle nostre abitazioni. Non è venuto proprio nessuno», ci dicono i residenti. Per tutto il mese successivo gli abitanti della contrada trovano di continuo carcasse (ne contano una decina).

La mostruosità di questa storia è data proprio dal fatto che per giorni le carcasse sono state lì, a cielo aperto, alla mercé di tutti, con evidenti problemi di igiene pubblica. Seppellirle, come sono stati costretti a fare i cittadini, non basta a debellare il rischio di infezioni, soprattutto in caso di avvelenamento. E’ necessario trasportare le carcasse nel più vicino Istituto Zooprofilattico Sperimantale, dove si procede ad individuare il materiale tossico che ha causato la morte dell’animale; in particolare, è compito del sindaco attivare entro 48 ore tutte le iniziative necessarie per la bonifica dell’area interessata, segnalare con opportuna cartellonistica la zona di pericolo e predisporre intensi controlli da parte delle autorità.

Inutile sottolineare la necessità, alla fine di tutte le indagini, di distruggere le carcasse mediante incenerimento. Cosa ha fatto di tutto questo il nostro sindaco? Sembrerebbe nulla. Sulla vicenda gli abbiamo chiesto un’intervista, ci ha risposto che non ne era a conoscenza, che non ricordava la richiesta di intervento firmata e consegnata dai residenti e che avrebbe chiesto ragguagli agli uffici. Noi, ovviamente, aspettiamo che finisca le sue indagini perché vogliamo capire il motivo per cui non si è intervenuti, perché la morte di quei dieci cani è anche responsabilità del mancato intervento.

Sarà pure vero che la storia non si fa con i se e con i ma, però viene da chiedersi quale sarebbe stato l’epilogo di questa vicenda se le autorità avressero risposto alla richiesta di intervento di un anno fa. Forse quei cani sarebbero finiti in un canile lager, che di certo non può essere considerata come la soluzione ottimale al problema.

Crediamo sia arrivato il momento per il nostro Comune di affrontare di petto la situazione, valutare se mantenere le convenzioni con queste discutibili società esterne oppure interromperle e utilizzare i fondi risparmiati per attrezzare un rifugio, un canile sanitario che ospiti i cani in modo permanente o in vista di un eventuale affidamento. Anche perché, come scriveva M. Gandhi, “la civiltà di un popolo si misura dal modo in cui tratta gli animali”.

A causa della loro crudezza le foto del cucciolo
e di altri tre cani morti sono linkate. Clicca qui

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