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Tullio Foà, testimone della discriminazione razziale e gli alunni della “Settanni-Manzoni”

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di Gianni Nicastro
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E’ un signore di 87 anni Tullio Foà, ebreo, di Napoli. Al momento dell’emanazione delle leggi razziali del regime fascista da parte di Vittorio Emanuele III nel 1938, il sig. Tullio aveva cinque anni. Ha vissuto, da bambino, tutto il dramma delle leggi della vergogna, leggi che legalizzarono, normalizzarono, la discriminazione razziale nei confronti degli ebrei. «Furono tanti, troppi coloro che accettarono quelle leggi e che addirittura ne approfittarono sul piano professionale, sul piano economico, abbandonando a un destino di disperazione, presto di morte, migliaia di loro connazionali. Auschwitz fu l’orrore finale, ma senza tutto quello che accadde dal ’38 al ’44 non si spiegherebbe e comunque non sarebbe stato possibile quell’esito», sono le parole dette da Liliana Segre in occasione della cerimonia di consegna della laurea honoris causa in Scienza della Pace a Pisa qualche giorno fa. Liliana Segre è solo un paio d’anni più grande di Tullio Foà, amica di Foà e da questi più volte citata durante il racconto fatto davanti agli alunni, alla dirigente scolastica prof.ssa Maria Melpignano e alle insegnanti, in videoconferenza, martedì 2 febbraio scorso. All’incontro, presentato e moderato dalla dirigente Melpignano, ha partecipato anche Vito Antonio Leuzzi, direttore dell’Istituto Pugliese per la Storia dell'Antifascismo e dell'Italia Contemporanea (IPSAIC).

Ai bambini ebrei fu vietato di andare a scuola, l’unica possibilità che avevano era quella che si formasse una classe con almeno dieci alunni ebrei di sei anni di età. Nella sua scuola c’erano solo nove bambini. Per costituire la classe e permettere ai bambini ebrei di frequentare la scuola, il preside fece risultare che Tullio Foà avesse sei anni anziché cinque.

Dunque, questi bambini ripresero la scuola, ma gli fu imposto di entrare da un cancello secondario, non più da quello principale; non poterono fare ginnastica con gli altri bambini “normali”, cioè non ebrei, erano costretti a farla nella classe. Il papà di Tullio fu licenziato, come tutti gli adulti ebrei che avessero una quatullio-foa-alla-settanni-rutigliano-3lsiasi professione, soprattutto nelle amministrazioni pubbliche, nelle banche, negli uffici. All’improvviso la sua famiglia si ritrovò in una situazione di povertà e di grande paura e rischio di essere rastrellata e deportata nei campi di concentramento.

Una deportazione che Tullio e sua madre riuscirono ad evitare grazie ad un commissario di polizia incaricato dal regime di individuare le famiglie ebree e segnalarle ai fini della deportazione. Il commissario avvicinò la madre, la avvertì dell’imminente pericolo e le suggerì di intestare la casa ad un italiano, così anche le utenze, in modo che non si potesse risalire a loro. La famiglia Foà riuscì a trovare chi l'aiutò con le intestazioni, quindi, a salvarsi dalla deportazione. Tullio Foà ha raccontato agli alunni questa storia con commozione ricordando quelle tre persone, non ebree (il preside, il commissario e l'intestatario), grazie alle quali la sua famiglia riuscì a mettersi in salvo. Negli anni, poi, Foà ha cercato di rintracciare gli eredi di quelle tre persone perché, attraverso loro, le potesse semplicemente ringraziare per il coraggio avuto in un momento in cui aiutare gli ebrei significava rischiare anche la vita. Un gesto di solidarietà, umanità, che non solo salvò la famiglia Foà, dimostrò anche che le leggi razziali, la discriminazione e persecuzione degli ebrei, non erano condivise da tutti gli italiani “normali”. C’era un dissenso, taciuto pubblicamente per ovvie ragioni, di tanta parte della popolazione che poi diede vita, o condivise, la Resistenza al nazifascismo.
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Insomma, un racconto che ha unito, sul filo della storia e della memoria, un anziano di 87 anni, testimone dei momenti più bui, più crudeli che l’umanità abbia mai vissuto, a giovanissimi alunni di scuola media interessati e attenti. I ragazzi hanno interagito ponendo domande alle quali Tullio Foà ha risposto aggiungendo ulteriori passaggi della sua vita, aneddoti, raccontati anche con grande simpatia e, a tratti, con lieve e inaspettata ironia.

«Vedo nei vostri occhi i valori che i vostri genitori e vostri insegnanti vi hanno trasmesso» ha detto alla fine dell’incontro ai ragazzi che erano in collegamento. I valori della pace, dell’accoglienza, della solidarietà che la scuola è capace di trasmettere alle generazioni che si affacciano appena alla consapevolezza della vita. Questo è un bagliore, una scintilla che Tullio Foà ha visto negli occhi di quei ragazzi.

La scuola “Settanni-Manzoni” ha dimostrato, ancora una volta, sensibilità, tensione verso i grandi temi della storia e dell’attualità, perché la discriminazione, l’odio per il diverso, sono sentimenti, ideologie ancora attuali; cambiano le vittime e le modalità della discriminazione, ma identico è il senso e la bruttura culturale.  Non è la prima volta che la “Settanni-Manzoni” affronta il tema della Shoà, dell’Olocausto, che porta nella scuola testimoni diretti di eventi che hanno così gravemente segnato la storia dell’umanità. Iniziative importanti, dunque, che contribuiscono ad intrecciare, col filo della memoria, passato e presente, storia e attualità, anziani e giovani.

 

 

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