LA MALATTIA DELL’AMIANTO A RUTIGLIANO. Inchiesta/intervista

di Gianni Nicastro

“Amianto”, è un termine che deriva dal latino Amiantus e dal greco Asbestos “pietra che non si consuma”, amianto e asbesto indicano, dunque, la stessa cosa. Si tratta di “un minerale naturale a struttura fibrosa la cui denominazione tecnica e commerciale si riferisce ad un gruppo di minerali (…) che si presentano sotto forma di fibre fini, cristalline con diametro compreso tra circa 0,01 a 0,05 μm, incombustibili e suscettibili di tessitura”, così l’amianto è descritto nel “Piano regionale di protezione dell’ambiente, decontaminazione, smaltimento e bonifica ai fini della difesa dai pericoli derivanti dall’amianto Puglia”, piano messo a punto dalla regione a marzo del 2012.

E’ un materiale incombustibile, elastico, leggero, resistente, coibentante, il suo utilizzo risale a tempi antichi, ma è nell’epoca moderna che se ne fa un uso massivo soprattutto nel campo della produzione di manufatti in cemento-amianto per l’edilizia. “Il nostro paese è stato, dal secondo dopoguerra, fino al bando dell’amianto, avvenuto nel 1992, uno dei maggiori produttori e utilizzatori di amianto, con un consumo di oltre 3,5 milioni di tonnellate in questo arco di tempo”, scrive il Ministro della Salute Renato Balduzzi nell’introduzione a “Quaderni del Ministero della Salute n. 15” di maggio-giugno 2012, dedicati allo “Stato dell’arte e prospettive in materia di contrasto alle patologie asbesto-correlate”. L’amianto, infatti, è stato utilizzato sotto svariate forme negli stabilimenti industriali, navali, aereonautici, edili, nei trasporti. Sono stati messi sul mercato una infinità di prodotti contenenti amianto, anche di uso domestico come i copri assi da stiro, i tessuti ignifughi per tendaggi, arredamento, tappezzeria e abbigliamento, filtri di pipe e sigarette, adesivi e collanti…

“Fra gli agenti cancerogeni, l’amianto si caratterizza per una serie di fattori di particolare pericolosità, legati alle quantità del materiale usato, in una gamma assai ampia di attività industriali, al numero di lavoratori esposti, alle ricadute in termini di matrici ambientali contaminate, con conseguenze di rischi per la salute non solo negli ambienti di lavoro”, scrive Massimo De Felice, presidente dell’INAIL, nell’introduzione al “Quarto Rapporto il Registro Nazionale dei Mesoteliomi” edizione 2012.

Nonostante la sua alta nocività per la salute sia stata dimostrata scientificamente già negli anni 40 del secolo scorso, l’amianto in Italia è stato messo al bando solo vent’anni fa con l’approvazione di una legge ad hoc, la n. 257 del 27 marzo 1992. Una legge che ne ha sancito il divieto assoluto di produzione, importazione, esportazione, commercializzazione anche dei prodotti che lo contengono. “Pur essendo la normativa italiana tra le più avanzate in Europa e nel mondo -scrive il ministro Balduzzi nella sua introduzione-  sono tuttavia ancora presenti sul territorio nazionale diversi milioni di tonnellate di materiali compatti contenenti tale sostanza e molte tonnellate di amianto friabile in numerosi siti contaminati, di tipo industriale e non, tanto pubblici quanto privati”.

L’era dell’amianto ha lasciato in eredità all’era post-amianto 34.000 siti inquinati, 373 dei quali nella classe più alta di Priorità di Rischio, la classe 1. Il CNR stima che siano 32 milioni le tonnellate di materiale in cemento-amianto sparse su tutto il territorio nazionale, un pericolo per la salute. “Le malattia correlate all’amianto -scrive ancora il ministro- costituiscono una sfida per la sanità pubblica” e la malattia correlata più diffusa è il mesotelioma pleurico, un cancro assai difficile da curare a causa della sua lunga latenza, fino a 30-40 anni; quando lo si diagnostica è già troppo tardi.

“L’inalazione di fibre di amianto -si legge nei Quaderni del Ministero della Salute- è causa di mesotelioma (di tutte le sedi), di tumore del polmone, laringe e ovaio, oltre che di malattie non neoplastiche (asbestosi, pleuropatie)”. Il mesotelioma alla pleura (membrana che avvolge i polmoni), rappresenta il 93% dei mesoteliomi maligni i cui casi in Italia, aggiornati  a dicembre 2011 e riferiti a diagnosi che vanno dal 1993 al 2008, sono 15.845. Nel Quarto Rapporto prima citato si legge che “nell’insieme dei casi con esposizione definita (12.065 soggetti ammalati), il 69,3% presenta un’esposizione professionale ad amianto (certa, probabile, possibile), il 4,4% familiare, il 4,3% ambientale, l’1,6% per un’attività extralavorativa di svago o hobby”. L’incidenza del mesotelioma alla pleura nel 2008 a livello nazionale è di 3,84 casi negli uomini e 1,45 nelle donne per 100.000 residenti.

LA CASALINGA E IL MESOTELIOMA
Ad agosto del 2011 a una casalinga di Rutigliano è stato diagnosticato un mesotelioma pleurico che, come abbiamo visto, può essere contratto solo inalando fibre di amianto. Questa casalinga si è ammalata del cancro che ha ucciso gli operai delle varie Fibronit sparse in Italia (Bari, Casale Monferrato, Broni...), fabbriche nelle quali si utilizzava l’amianto come materia prima insieme al cemento. Quegli operai l’amianto lo respiravano tutti i giorni, se lo portavano a casa sugli indumenti da lavoro e a morire di mesotelioma alla pleura erano anche i loro famigliari. Così come sono morti di questo stesso male cittadini che non hanno mai lavorato nelle varie Fibronit e che neanche avevano parenti che vi lavoravano, sono morti semplicemente perché hanno avuto la sfortuna di abitare nei pressi di quelle fabbriche.

La nostra casalinga non ha nulla a che fare con questo tipo di esposizione, non ha mai lavorato e, men che meno, è venuta a contatto con ambienti saturi o inquinati da amianto. Per quello che oggi sappiamo, l’unica, potenziale, relazione con l’amianto è la vicinanza delle due abitazioni in cui è vissuta, e vive ancora oggi, a due grandi capannoni ricoperti di eternit. Il balcone di un lato della prima abitazione è a pochi metri di distanza dal tetto di quei capannoni, balcone quotidianamente frequentato dalla signora finché lì ha abitato.

Il 90% dell’amianto in Italia era assorbito dalla produzione di eternit, materiale che può “divenire pericoloso solo se in grado di rilasciare fibre a causa del degrado della matrice cementizia: purtroppo si tratta di una evenienza non molto remota a causa dell’esposizione agli agenti meteorici (in particolare pioggia, cicli termici caldo/freddo e gelo/disgelo, vento, etc.)”, così si legge nel Piano regionale dell’amianto prima citato. Le coperture di eternit possono, dunque, rappresentare un pericolo per la salute dei cittadini.

Certo, le dosi di fibre che un capannone coperto con eternit rilascia nell’ambiente non sono paragonabili a quelle che rilasciava la Fibronit nel quartiere Japigia a Bari, ma nel Piano regionale dell’amianto si legge ancora che “non esiste, come invece accade per altre neoplasie derivanti dall’esposizione ad agenti cancerogeni, un livello di esposizione al di sotto del quale l’effetto cancerogeno non è più epidemiologicamente dimostrabile: nel mesotelioma l’esperienza dei Registri e la letteratura hanno messo in evidenza casi che presentavano dosi talmente basse da essere sovrapponibili alle dosi esistenti nell’ambiente di vita”. Nel Quarto Rapporto sui mesoteliomi prima citato il concetto è espresso in modo più completo: “… pur essendo ampiamente accertata l’esistenza di una relazione di proporzionalità fra dose e rischio di malattia, non è possibile escludere un rischio anche a fronte di livelli bassi, discontinui e non lunghi di esposizione”, come potrebbero essere le esposizioni di tipo ambientale.

Quella casalinga di Rutigliano si è ammalata di mesotelioma pleurico perché si affacciava su una distesa di eternit? E’ quello che abbiamo cercato di capire intervistando la dott.ssa Marina Musti della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università di Bari, coordinatrice e responsabile scientifico del Registro Regionale dei Mesoteliomi di Puglia e Basilicata, dal 2006 Direttore dell’Unità Operativa di Medicina del lavoro dell’Azienda Ospedaliera Policlinico di Bari, autrice di oltre 130 pubblicazioni su riviste nazionali ed internazionali.

L'INTERVISTA
Prof.ssa Musti, a una persona può succedere di ammalarsi di mesotelioma pleurico per il solo fatto di vivere a pochi metri di distanza da una grande estensione di eternit?
«Questo può succedere, però dipende, chiaramente, dallo stato della manutenzione di queste tettoie. Se le tettoie sono in buono stato, e quindi non si ha la fuoriuscita delle fibre di amianto nell’aria, diciamo non sono sgretolate, allora non succede. Non è automatico che avere una tettoia sotto casa produca una inalazione di fibre di amianto. Dipende dallo stato di conservazione. Se lo stato di conservazione è buono non succede, se lo stato di conservazione, invece, non è buono, la manutenzione non è fatta , possono esserci delle fibre che vanno nell’aria e questo può, insieme a tanti altri meccanismi, produrre problemi certo, indurre».

Quindi, può succedere.
«Sì, ma, ripeto, deve esserci uno stato di ammaloramento importante delle strutture».

Devono essere proprio deteriorate.
«Devono essere deteriorate in modo tale da poter liberare fibre di amianto».

Esiste nella casistica nazionale un caso, accertato, simile alla casalinga di Rutigliano?
«Sulle tettoie è un po’ difficile. Sostanzialmente adesso il 70% dei casi è ancora lavorativo, con ben altre esposizioni. Nella casistica pugliese non abbiamo un caso del genere, devo controllare negli altri COR (Centri Operativi Regionali) se hanno avuto casi di questo tipo. Abbiamo, invece, casi di soggetti che hanno utilizzato in casa delle coperture di assi da stiro, non so se lei ricorda, quelle un po’ argentate, fatte di amianto che, a furia di passare il ferro, liberavano fibre; oppure delle protezioni di cucine economiche. Abbiamo avuto casi del genere o, anche, con il talco usato per l’igiene intima. Il talco è un silicato che si estrae dalle miniere, può essere contaminato da amianto e, siccome tanti anni fa è stato molto utilizzato a scopo igienico, è successo che abbia dato luogo a mesoteliomi di tipo ovarico e peritoneale. Comunque, il talco che utilizziamo oggi è molto raffinato e non ha questo problema, però c’è un’immissione sul mercato di talco di origine cinese e lì io starei molto attenta».

Professoressa, c’è una soglia minima di esposizione all’amianto al di sotto della quale si può stare tranquilli?
«E’ una domanda difficile. In biologia questa non è una domanda a cui si può dare una risposta. Io le parlo in termini di conoscenze attuali. Nelle conoscenze attuali, mentre il tumore polmonare è dose-dipendente, cioè bisogna che il soggetto sia stato esposto ad una dosa quotidiana per anni per poter determinare un tumore polmonare d’amianto, non è così con il mesotelioma. Può, teoricamente, bastare una esposizione di minore entità per determinare il mesotelioma, altrimenti non si capirebbe come, chi ha abitato intorno ad insediamenti che hanno utilizzato amianto a scopo produttivo, abbia potuto sviluppare la malattia; oppure le mogli delle persone che portavano gli abiti in casa. Quindi, la dose sicuramente è una dose bassa, però dire che una fibra può dare il mesotelioma non è corretto. Anche per un altro motivo: a parità di esposizione c’è uno sfortunato e altri no, e questo vuol dire che c’è anche una -chiamiamola- suscettibilità individuale che con l’esposizione produce questo problema. La fibra di amianto è cancerogena, per il mesotelioma però ci deve essere una suscettibilità individuale».


A basse dosi di esposizione alle fibre di amianto ci vuole, dunque, una personale suscettibilità per ammalarsi di mesotelioma pleurico. Nel caso della casalinga in questione non c’è, ancora (e non sappiamo se ci sarà mai), la certezza che il suo male sia stato indotto da quelle coperture, ma riteniamo si possa dire che una situazione ambientale di quel tipo sia una situazione a rischio per la salute, un rischio direttamente proporzionale, nella sua grandezza, allo stato di conservazione delle eternit o, in casi diversi, di altri tipi di manufatti in cemento-amianto con cui si viene sovente a contatto.

Rutigliano è un comune ancora pieno di coperture di questo tipo, in città e nel centro storico dove è possibile scorgere coperture in eternit anche vecchie di 30-40 anni (le foto si riferiscono a Rutigliano). Lo stesso locale ufficio postale, relativamente nuovo come costruzione, ha ancora i pannelli delle pareti in cemento-amianto, pannelli su cui è appiccicata la lettera “a” di amianto e una scritta che raccomanda di non danneggiare il muro perché potrebbero liberarsi le temibili fibre. C’è la questione dei capannoni industriali e commerciali coperti ancora oggi con eternit come testimoniano i puntini verdi segnati sulla cartina della Puglia che è nel Piano regionale dell’amianto citato più sù in riferimento al territorio di Rutigliano (qui sotto pubblicata).

Di questi capannoni ce ne sono alcuni, un complesso, che hanno attirato la nostra attenzione perché si trovano in pieno centro abitato, sono quelli dello stabilimento della Divella situato nel quadrilatero via Fiume-via Cellamare-via Lamorgese-via Gorizia, complesso su cui l’azienda ha cominciato la bonifica a settembre scorso. Un intervento non ancora completato e tardivo anche in considerazione del fatto che a pochi metri da quell’ex pastificio c’e un istituto di scuola dell’infanzia.

L’amianto è stato messo al bando nel 1992, da allora non si produce più nulla che lo contenga, si può dire che l’esposizione oggi sia di origine prevalentemente ambientale. “Sono certamente cessate -si legge ancora nel Quarto Rapporto Mesoteliomi 2012- le attività che comportano l’uso diretto (come materia prima) di amianto, ma rimane la presenza del materiale sia in ambiente di lavoro (soprattutto laddove è stato utilizzato per la coibentazione e non rimosso) sia in ambiente di vita (manufatti, rifiuti, edilizia residenziale)”.
Ai fini della prevenzione di una possibile esposizione, importante è, dunque, il censimento dell’amianto sul territorio, la verifica del suo stato di conservazione, l’informazione sui rischi che si corrono a rimuoverlo senza le dovute misure di sicurezza, l’invito a non fare la tanto in voga bonifica “casalinga” col relativo abbandono del pericoloso materiale per strada o nelle campagne.





















I casi di mesotelioma pleurico inseriti nel ReNaM (Registro Nazionale dei Mesoteliomi) a Rutigliano e in altri quattro comuni limitrofi

ADM = accertamento diagnostico massimo
Sistema di classificazione e codifica dell’esposizione

1. esposizione PROFESSIONALE CERTA
2. esposizione PROFESSIONALE PROBABILE
3. esposizione PROFESSIONALE POSSIBILE
4. esposizione FAMILIARE
5. esposizione AMBIENTALE
6. esposizione EXTRALAVORATIVA
7. esposizione IMPROBABILE
8. esposizione IGNOTA
9. esposizione DA DEFINIRE
10. esposizione NON CLASSIFICABILE


4 casi a Rutigliano (cap di residenza 70018).
1 soggetto M con esposizione da definire (ADM 9): rivenditore ambulante di articoli casalinghi in Basilicata.
1 soggetto F con esposizione improbabile (ADM 7): lavorava nel settore tessile.
1 soggetto F con esposizione professionale possibile (ADM 3): ditta di sacchi di juta e bracciante agricola.
1 soggetto M con esposizione ambientale (ADM 5): bracciante agricolo. Dietro la sua abitazione c'era un deposito di eternit.

2 casi a Noicattaro (cap di residenza 70016).
1 soggetto M con esposizione extralavorativa (ADM 6): autista. Nel tempo libero svolgeva lavori elettrici, aveva una tettoia in eternit.
1 soggetto M con esposizione professionale possibile (ADM 3): Fiat di Torino, manutentore idraulico.

6 casi a Conversano (cap di residenza 70014).
1 soggetto F con esposizione extralavorativa (ADM 6): nel tempo libero svolgeva lavori agricoli, aveva un deposito attrezzi e la tettoia del pollaio sito sul terrazzo di casa in eternit. Serbatoio d'acqua in cemento-amianto sul terrazzo di casa che è stato rimosso e tagliato in due per fare una fioriera, il lavoro è stato svolto da un fabbro e i due coniugi hanno partecipato al lavoro.
1 soggetto M con esposizione da definire (ADM 9): non è stato possibile raccogliere i dati.
1 soggetto M con esposizione da definire (ADM 9): agricoltore, benzinaio e camionista. abitava nella vicinanze di una marmeria.
1 soggetto M con esposizione improbabile (ADM 7): bracciante agricolo.
1 soggetto F con esposizione improbabile (ADM 7): bracciante agricola.
1 soggetto M con esposizione lavorativa possibile (ADM 3): per 2 anni ha svolto piccoli lavori presso una fonderia, in seguito rappresentante di prodotti farmaceutici e di un oleificio. Abitazione estiva a campomarino con tettoia in eternit.

10 casi a Mola di Bari
(cap di residenza 70042):
1 soggetto M con esposizione professionale certa (ADM 1): diversi lavori, tra cui a metà anni '80 su navi petrolifere puliva cisterne.
2 soggetti M con esposizione professionale probabile (ADM 2): uno nel settore delle telecomunicazioni, manutenzione dei trasmettitori con guanti e corde in amianto; l'altro diversi lavori tra cui cannoniere.
4 soggetti M con esposizione professionale possibile (ADM 3) di cui: 1 direttore di albergo con hobby cinematografia; 2 marina militare: 1 impiegato tecnico nel gruppo ENI.
1 soggetto F con esposizione ambientale (ADM 5): serbatoio d'acqua e pollaio con rivestimento in eternit.
1 soggetto M con esposizione improbabile (ADM 7).
1 soggetto F con esposizione da definire (ADM 9).

3 casi a Casamassima (cap di residenza 70010, codice comune 72015):
1 soggetto M con esposizione professionale certa (ADM 1): meccanico e elettricista.
1 soggetto M con esposizione professionale probabile (ADM 2): operaio saldatore.
1 soggetto F con esposizione da definire (ADM 9): irrintracciabile.

Dai dati anamnestici dei casi qui riportati due segnalano una esposizione precisa, di tipo ambientale (ADM 5): un soggetto a Rutigliano, bracciante agricolo che ha un deposito di eternit dietro la sua abitazione e uno di Mola di Bari che ha un serbatoio d’acqua e un pollaio con rivestimento in eternit.
E’ interessante notare, al di là dei vari ADM, che ci sono complessivamente 5 casi nei cui dati anamnestici ricorrono tettoie e serbatoi di cemento-amianto. Emblematico è il caso di una donna di Conversano, con esposizione extralavorativa, che assiste col marito al taglio di una cisterna di amianto da parte di un fabbro.
C’è da dire, infine, che su Rutigliano il caso della casalinga citato nell’inchiesta, con un ADM da definire, non è stato ancora inserito nel ReNaM, per cui a Rutigliano i casi dovrebbero essere 5. Solo per Rutigliano abbiamo anche i riferimenti temporali delle diagnosi dai quali si potrebbe ricavare un’incidenza:
1 caso nel 1984
1 caso nel 1994
1 caso nel 2001
1 caso nel 2004
1 caso nel 2011 (la casalinga dell’inchiesta).

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