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Oggi vi parlo del nuovo romanzo di Patrizia Rossini

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di Teresa Gallone

Oggi vi parlo di una nuova tappa del mio percorso di ricerca e scoperta del panorama letterario locale. Il porto in cui sono approdata si chiama “Punto e a capo…in nome dell’amore” di Patrizia Rossini (Gelsorosso edizioni).

Patrizia Rossini, classe 1961, barese di nascita, lavora per 24 anni come docente di scuola primaria e attualmente è dirigente scolastico in un istituto del quartiere Japigia. Da pedagogista scrive il saggio “Teste per tutte le teste. Metodo didattico per apprendere l’uso della lingua italiana” (2012) e vanta collaborazioni attive nelle riviste didattiche. Da scrittrice pubblica nel 2008 “Travolta da uno tsunami”, vincitore del primo premio al concorso “Poepatrizia-rossinisie e pRosa” (2011).

“Punto e a capo…in nome dell’amore” è un romanzo sui generis. È propriamente un romanzo per il trattamento letterario della materia, la struttura, i personaggi fittizi, la tendenza alla formularità (dirò in seguito). Non è un romanzo perché non è l’esito estetico narrativo l’obiettivo della Rossini. L’opera è una finestra non edulcorata sulla realtà, uno spaccato di vita vera capitato nelle mani di un letterato che vi ha posto la sua mano modesta per comunicarlo al mondo. Quella di Patrizia Rossini è una testimonianza, l’autrice si è caricata della gravità del reale e della responsabilità di maneggiarlo per renderlo dicibile all’esterno.

Motiverò la mia affermazione. La storia di Nina è un racconto di vita realmente vissuta. È una vicenda sviluppata che copre un arco temporale di circa quattro decenni. Muove la narrazione il tema angoscioso della violenza subita nell’alveo familiare e affettivo della protagonista. Il racconto gioca sulla polifonia. Patrizia Rossini gioca sulle voci plurime dei comprimari, i satelliti della vita di Nina che come la scrittrice stessa, sono destinatari e interpreti involontari della sua storia. Il gioco di intrecci suscita empatia.

Emerge dal punto di vista dei personaggi satellite il ritratto opaco della protagonista, costellato di domande prive di risposta immediata: Nina è poco incline alle manifestazioni emotive, malinconica, sfuggente, il motivo è celato allo sguardo dei suoi interlocutori. Sapientemente Patrizia Rossini fa sentire la presenza della protagonista in ogni racconto che gli altri fanno di lei. Questo è reso possibile dal doppio movimento della scrittura che consente al lettore di guardare la Nina che i suoi comprimari vedono, secondo le loro personali prospettive e, al contempo, rende percepibile fra le righe delle impressioni soggettive la Nina personaggio principale. La Rossini si fa conduttrice gentile della narrazione, mai indiscreta, conduce il lettore attraverso il graduale percorso di scoperta della protagonista.

Nina è il tipico personaggio da bildungroman: cresce fra le pagine, supera prove e si evolve. Le tappe del suo percorso, i momenti massimamente negativi sono segnati dal puntuale ritorno di una manciata di frasi formulari:


Aveva accumulato un vuoto profondo.
Fino al centro della terra.
E ce ne sarebbe voluto di tempo per colmarlo.
Anzi avrebbe tentato di colmarlo.
Forse.

La paratassi scabra, il ritmo grave interrompono la levità della narrazione, incorporano nella letterarietà della strategia il richiamo del reale. Il turpe emerge non solo nell’inesorabile rintocco di queste frasi. La Rossini si mostra abile nell’uso dei registri linguistici: sintassi, stile, tono e lessico collimano perfettamente con i personaggi narranti e con quelli narrati. Nessun risparmio, nessuna edulcorazione del lessico.

La descrizione è un ulteriore anello di congiunzione fra intento referenziale e narrativo: la narratrice costella il romanzo di descrizioni capillari di luoghi, personaggi narranti e narrati ma soprattutto di situazioni. Nulla è celato al lettore che è così consapevole di non essere semplice fruitore di una fictio letteraria ma testimone di una reale vicenda, investito della responsabilità di raccontarla a sua volta.

Nel precedente articolo avevo accennato al duplice obiettivo del romanzo di Patrizia Rossini, la speranza della rinascita e la scossa alle coscienze. Attraverso il particolare movimento della scrittura e il modo personale di presentare la datità del reale, una maniera lieve ma incapace di indorare, la Rossini raggiunge un ulteriore traguardo: inocula nel lettore il desiderio di farsi voce narrante non solo della storia di Nina ma anche di tutte le altre rimaste mute nella sua memoria e nel mondo.



 

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