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14 Agosto 1941: nell’inferno del lager di Auschwitz si accende una luce di carità!

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Massimiliano--Maria-Kolbe

 

Sac. Pasquale Pirulli
don pasquale foto
Alla vigilia della solennità dell’Assunzione di Maria in anima e corpo alla gloria del cielo ad illuminare il rito estivo del ferragosto, mi piace fare memoria della  drammatica vicenda di S. Massimiliano  Maria Kolbe, martire nel luogo in cui si fece scempio di ogni sentimento e dignità umana, recuperando un testo redatto qualche anno fa in forma di lettera a lui indirizzata.    

 Caro San Massimiliano, sai?, mi è stato chiesto di ricordare il 70° anniversario della liberazione del lager di Auschwitz-Birkenau operata dalle armate alleate il 27 gennaio 1945 e tradizionalmente celebrato come «IL GIORNO DELLA MEMORIA». Ho valutato diverse opzioni dalla più dissacrante che era quella di indirizzarmi allo storico comandante del campo Obersturmhannfuhrer delle SS Rudolf  Höss che per tre anni (1941-1943) fu a capo della fabbrica della morte che per cinque anni (1940-1945) produsse due milioni di vittime nelle camere a gas; oppure quella altrettanto dissacrante di rivolgermi al Fuhrer Adolf Hitler l’autore del “Mein Kampft” e il capo politico e militare del fenomeno storico di violenza chiamato nazismo. Avevo pensato anche di rivolgermi a qualcuna delle vittime come la filosofa Edith Stein scomparsa anch’essa nella bolgia di Auschwitz e che la chiesa ha riconosciuto santa col nome di Teresa Benedetta della Croce oppure al teologo protestante Dietrich Bonheffer anch’egli vittima della ferocia insensata, o al beato P. Tito Brandsma O. Carm., o a uno dei 56 deportati che la Chiesa ha riconosciuto come beati.

 Ho riguardato i tanti volumi presenti nella mia piccola biblioteca domestica dal “Mein Kampft” di Adolf Hitler al “Diario” di Anne Frank, alle memorie di Eva Scloss (la sorella di Anne Frank), di Etty Hillesum, di Elisa Springer, di Edith Bruck, di Liliana Segre, di Piero Terracina, di Sami Modiano, di Ilse Weber, di Shlomo Venezia. di Alberto Mieli; e poi alle testimonianze di Primo Levi (Se questo è un uomo, La tregua), di Elie  Wiesel (Tutti i fiumi vanno al mare). Ho sfogliato l’opera in due volumi edita dalla UTET “Storia della Shoah – lo sterminio degli Ebrei” e la guida del lager “Auschwitz – il campo nazista della morte”. Sono in attesa del volume di Guillaume Zeller “La baraque des prêtres – Dacau 1938-1045”,Ed. Tallandier, Paris 2015. Altri volumi su questo tema della shoah sono: Rudolf Höss, Comandante ad Aschwitz. Hermann Langbei, Uomini ad Auschwitz, Massimo Giuliani, Auschwitz nel pensiero ebraico, E. Baccarini – L. Thorson, Il bene e il male dopo Auschwitz implicazioni etico-teologiche per l’oggi; Riv. CONCILIUM (5/1984), L’Olocausto come interruzione: un problema per la teologia cristiana, Vincenzo Pappalettera, Tu passerai per il camino – vita e morte a Mauthausen. Oltre alle tante opere cinematografiche (da ricordare: Il diario di Anne Frank, Il bambino col pigiama a righe, Arrivederci ragazzi, L’isola in via degli uccelli, Train de vie, La settima stanza, La fuga degli angeli, Gli ultimi giorni, Jona che visse nella balena. Schindler’s List, La vita è bella. Der Neunte Tag – Pfarrerblock 25487, Corri ragazzo corri, Hanna Arendt di Margarethe von Trotta, L’uomo per bene di Vanessa Lapa, ecc.) vorrei ricordare una significativa opera teatrale quale è quella di Peter Veiss dal titolo “L’istruttoria” e la provocativa “Crocifissione bianca” del pittore ebreo di origine russa Marc Chagall in cui il Figlio di Dio crocifisso dei cristiani diventa emblema della sofferenza del popolo ebraico durante la persecuzione nazista.

    Nell’agosto dell’anno 2001 sono stato in pellegrinaggio al campo di Auschwitz-Birkenau e nella silenziosa visita al muro della morte e al famigerato block 13 ho fatto sosta dinanzi alla oscura cella in cui il giorno 14 agosto 1941 con una iniezione di acido fenico al braccio sinistro hai consumato il tuo martirio di carità e nella quale il papa santo Giovanni Paolo II nella visita dell’anno 1979 aveva deposto un cero pasquale quale segno della sua devozione e speranza di resurrezione. Egli facendo memoria di te in quel giorno disse: “In questo luogo che fu costruito per la negazione della fede, della fede in Dio e della fede nell’uomo, e per calpestare non soltanto l’amore, ma tutti i segni della dignità umana, quell’uomo ha riportato la vittoria mediante l’amore e la fede”. Durante la visita al block 13 l’amico diacono D. Matteo Pugliese, affranto dal dolore, interruppe la visita uscendo in lacrime ed erano con noi l’indimenticabile Avv. Lillino Ciavarella con il cognato Pietro Diomeda.

    Nei due pellegrinaggi in Terrasanta (1993-2008) ho avuto sempre il desiderio, purtroppo mai realizzato per difficoltà logistiche (orari e mezzi di trasporto), di soffermarmi allo Yad Vashem, il memoriale alla Shoah presente nella città di Gerusalemme.
Prima di ricordare alcune slides della tua vita di religioso francescano vorrei che tu, dal cielo rispondessi alla domanda che certamente altri deportati ti avranno fatto in quei giorni terribili di morte e desolazione: “Padre, dov’è Dio?” e avrai ascoltato il canto degli ebrei che si avviavano alla camera a gas cantando la propria fede: “Shema, Israel!”. Tu avrai guardato con sgomento verso i militi delle SS sul cui cinturone di cuoio spiccava la lucente fibbia con incisa la bestemmia “Gott mit uns” e avrai risposto ricordando che Dio era presenza d’amore proprio nella sofferenza dei suoi figli riassunta poi nella splendida icona cui ho accennato prima del «Cristo bianco» dipinta da Marc Chgall in cui il perizoma del crocifisso è un tallid (scialle della preghiera rituale ebraica) e ai piedi della croce c’è la menorah (candelabro rituale a sette luci). Sì, come riporta un pensiero di Blaise Pascal: Cristo è in agonia sino alla fine del mondo!Massimiliano--Maria-Kolbe-1
    Sai, sono stato per quattro anni a Roma e nelle frequenti visite passo sempre dinanzi alla tua cara basilica dei Santi Apostoli e al tuo caro convento e poi scorgo dopo la svolta di via del Vaccaro la maestosa facciata della Pontificia Università Gregoriana che tu pure hai frequentato negli anni 1912-1919 conseguendo la laurea in Filosofia e in Teologia. Non posso fare a meno di ricordarti e di rivolgerti una silenziosa preghiera, perché anch’io sono stato alunno per il corso di Filosofia alla stessa Università.

    Qualche notizia della tua biografia è bene darla prima di soffermarci sul tuo martirio ad Auschwitz durante la tragedia della shoah. A questo proposito mi permetto di suggerire il volume di  Severino Ragazzini “San Massimiliano KOLBE – Una biografia completa del martire di Auschwitz attraverso i suoi scritti” (Edizioni San Paolo, 2016).

    Sei nato da Giulio e Maria Dabrowska a Zdunska-Wola (Lodz) in Polonia l’8 gennaio 1894 e sei stato battezzato col nome di Raimondo. Poi hai frequentato le prime scuole a Pabianice. Nel 1907 entri nello studentato dei Frati Minori Conventuali di Leopoli e il 4 settembre 1910 incominci il noviziato col nome religioso di Massimiliano Maria. Il 5 settembre 1911 emetti la professione semplice e nell’anno 1912 sei mandato a Roma dove alloggi al Convento di Piazza Santi Apostoli e frequenti la facoltà di Filosofia e di Teologia presso la vicina Pontificia Università Gregoriana. Il 1° novembre 1914 emetti i voti perpetui e il 28 aprile 1918 sei ordinato sacerdote. Rimani a Roma sino all’anno 1919 e durante questo periodo scopri la tua particolare vocazione di essere “cavaliere dell’Immacolata” e con entusiasmo scrivi: “Bisogna seminare questa verità nel cuore di tutti gli uomini che vivono e  vivranno fino alla fine dei tempi e curarne l’incremento e i frutti di santificazione; bisogna introdurre l’Immacolata nei cuori degli uomini affinché ella innalzi in essi il trono del Figlio suo e li trascini alla conoscenza di Lui e li infiammi d’amore verso il Sacratissimo Cuore di Gesù”. Con decisione  getti le basi della “Milizia dell’Immacolata” il 16 ottobre 1916 e ne sintetizzi il programma nel motto “Rinnovare ogni cosa in Cristo attraverso l’Immacolata”.

Nel 1919 ritorni in Polonia e dopo una sosta presso il sanatorio di Zakopane, a Cracovia nel 1922 avvii la pubblicazione della rivista “Il Cavaliere dell’Immacolata”. Nel convento di Grodno fondi un centro editoriale e nel 1927 ti impegni nella realizzazione di un convento cui darai il nome di “Niepokalanòw” (Città dell’Immacolata). Un tuo amico ti descrive così: “Era tenace, ostinato, implacabile, un calcolatore nato: calcolava e raffrontava senza posa, valutava, fissava, combinava bilanci e preventivi. Si intendeva di tutto: di motori, di biciclette, di linotype, di radio; conosceva quello che costava poco e quello che costava molto; sapeva dove, come e quando era opportuno comprare. Non c’era sistema di comunicazione troppo veloce per lui, il veicolo del missionario, diceva spesso, dovrebbe essere l’aereo ultimissimo modello”. Hai il coraggio nell’anno 1930 di raggiunger la città di Nagasaki in Giappone e fondi il convento-città “Mugenzai no Sono” (Giardino dell’Immacolata). Nel 1936 ritorni in Polonia e nel tuo convento-città ci sono circa 800 frati impegnati nell’apostolato della stampa. Nel settembre 1939 le armate naziste invadono la Polonia e il 19 settembre 1939 affronti la prima esperienza del campo di concentramento di Amitz in Germania. A dicembre sei liberato e ritorni a Niepokalanow dove continui il tuo lavoro in condizioni disagiate per la guerra. Il 17 febbraio 1941 sei arrestato e tu dichiari ai confratelli desolati: “Vado a servire l’Immacolata in un altro campo di lavoro”.

 Nel campo di sterminio di Auschwitz sei il numero 16670 e sei costretto ai duri lavori di costruzione del crematorio e poi anche a trasportare i cadaveri e tu accompagni la dura fatica con la preghiera. Anche nelle ore notturne non ti stanchi di confortare i compagni di sofferenza: “L’odio non è forza creativa; solo l’amore è forza creativa” e li inviti a confidare nella Madre Immacolata: “Ella è la vera consolatrice degli afflitti, ascolta tutti, ascolta tutti!”. Sei sempre un sacerdote cattolico e gli ammalati ti chiamano “il nostro piccolo padre”.

    Arriva il momento del tuo martirio (testimonianza) di carità. Dal tuo blocco n. 14 fugge un detenuto. Per tre ore tutti i deportati dei blocchi sono costretti a stare sull’attenti e poi alle ore 9 la cena nelle rudimentali scodelle ma a voi del blocco 14 fu negato il cibo versato con disprezzo in un canale. Il giorno dopo con tutti i tuoi compagni sei immobile sulla piazza: è il mese di luglio e il sole si accompagna alla fame, alla stanchezza, alla spasmodica attesa. Il comandante del campo (sarà stato Rudolf Höss) procede alla decimazione: per il prigioniero fuggito dieci saranno condannati a morire nel bunker della fame. Francesco Gajowniczek, che tu non conosci affatto, una volta segnato si mette a gridare la sua disperazione per la moglie e i figli. Tu con spirito di carità ti offri al suo posto e lo scambio viene accettato.  Entri nel blocco della morte nudo e insieme agli altri aspetti la morte. Niente cibo e neppure una goccia di acqua! Tu inviti tutti alla preghiera ed è una lunga agonia. Dopo quindici giorni siete rimasti in vita cinque. Il 14 agosto 1941 viene praticata una iniezione di acido fenico e dal buio della cella tu apri gli occhi alla contemplazione della Vergine Immacolata e Assunta, di cui il giorno dopo ricorre la solennità.

»La cella era necessaria per altre vittime…. Il criminale Boch fece a ognuno le iniezioni endovenose di acido velenoso al braccio sinistro. Il padre Kolbe con la preghiera sulle labbra da sé porse il braccio al carnefice. Non potendo resistere a quello che i miei occhi vedevano, e sotto pretesto di dover lavorare in ufficio, uscii fuori. Partita la guardia con il carnefice, ritornai nella cella, dove trovai padre Massimiliano Kolbe seduto, appoggiato al muro, con gli occhi aperti e la testa chinata sul fianco sinistro (era la sua posizione abituale). La sua faccia serena e bella era raggiante.. Il suo corpo era pulitissimo e luminoso (candido). Chiunque sarebbe stato colpito  dalla sua posizione e avrebbe ritenuto di trovarsi dinanzi a un santo. Il suo volto splendeva di serenità, a differenza degli altri moti, stesi sul pavimento insudiciati e con i segni della sofferenza sul volto» (teste Borgowiec cit. in Severino Ragazzini, o.c., pp. 245-246).   

    Sai S. Massimiliano Maria Kolbe che il 10 ottobre 1982 quando il papa polacco S. Giovanni Paolo II ha iscritto il tuo nome nel catalogo dei santi quale martire della carità in prima fila in piazza S. Pietro era presente quel signor Francesco di cui tu avevi accolto il grido disperato e che doveva a te la sua vita. La tua vita  come la tua morte è un miracolo di carità che squarcia il buio del bunker della morte! La fede e la preghiera di ogni vittima come la carità sono il sole di Auschwitz!
Come non ricordare in questa Giornata della Memoria la prima grande shoah di cui ci parla il Libro di Ester quando, durante il regno di Assuero, il primo ministro Aman decreta lo sterminio degli Ebrei e la loro liberazione attraverso la preghiera e l’opera della regina Ester viene celebrata nella festa dei Purim il 13 del mese  ebraico di Adar (febbraio-marzo).  
Mi pare opportuno in questa circostanza ricordare anche la riflessione di Primo Levi che scriveva: “ L’Olocausto è una pagina del libro dell’Umanità da cui non dovremo mai togliere il segnalibro della memoria” e lo stesso poneva all’inizio delle sue memorie dal titolo “Se questo è un uomo” quale esergo queste parole di ammonimento:
   
«Voi che vivete sicuri
    Nelle vostre tiepide case,
    Voi che trovate tornando a sera
    Il cibo caldo e visi amici:
        Considerate se questo è un uomo
        Che lavora nel fango
        Che non conosce pace
        Che lotta per mezzo pane
        Che muore per un sì o per un no.
        Considerate se questa è una donna,
        Senza capelli e senza nome
        Senza più forza di ricordare
        Vuoti gli occhi e freddo il grembo
        Come una rana d’inverno.
    Meditate che questo è stato:
    Vi comando queste parole.
    Scolpitele nel vostro cuore
    Stando in casa andando per via,
    Coricandovi alzandovi;
    Ripetetele ai vostri figli.
        O vi si sfascia la casa,
        La malattia vi impedisca,
        I vostri nati torcano il viso da voi».

 

 


                  

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