Festa di San Giuseppe e del papà, origine e significato

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di Tino Sorino

In questi ultimi anni la “Festa di San Giuseppe” si è praticamente trasformata nella “Festa del papà” con tutti i suoi risvolti commerciali e consumistici. Ma non è stato sempre così. Come sarà oggi, in tempo di Coronavirus, non è dato ancora saperlo, ma possiamo immaginare che col divieto di uscire di casa e quindi con l’impossibilità di acquistare tanti inutili regali, finalmente si potrà fare al papà una festa autentica, magari ricordando la figura del Papà della Santa Famiglia di Nazareth, un po’ come avveniva nel passato. sangioseppe-art tino-1

Ma la Festa di un tempo, divenuta canonica per la Chiesa cattolica nel 1621, grazie a Papa Gregorio XV, aveva San Giuseppe per protagonista e come cornice “la famiglia che si riuniva nella sua intimità”, come sottolinea il prof. Nicola De Filippis, oggi novantasettenne sempre pronto a rievocare aspetti della vita rutiglianese di un tempo.

“Nei primi decenni del ‘900, quando a Rutigliano c’erano 11 o 12 sacerdoti”, continua il professore, “si celebravano messe di San Giuseppe nella cappella sita nell’omonima strada del centro storico, demolita negli anni ’50 e nelle due chiesette di San Nicola e dell’Immacolata”. “La sera”, poi, racconta don Pasquale Pirulli, “ci si incontrava nelle case dei tanti familiari e amici che festeggiavano il loro onomastico, offendo biscotti, ceci e un buon bicchiere di vino. Erano molti a Rutigliano quelli che portavano il nome di Giuseppe, un santo molto amato e pregato. Non poteva mai mancare, ogni giorno, tra le altre, la preghiera “A te beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo”, che ancora oggi tanti devoti pronunciano, preghiera e Rosario che la Cei, proprio a causa del dilagante Coronavirus, invita i fedeli a recitare per l’Italia nella stessa ricorrenza di San Giuseppe (alle 21.00), stando nelle proprie case e invocando il padre putativo di Gesù, custode della Santa Famiglia.

Una statua di San Giuseppe c’è anche nella chiesa del Carmine nell’altare a lui dedicato”. Gli studenti degli anni ’60 – ’70 ricordano i tempi della loro giovinezza, quando il 19 marzo era festa di precetto, abolita purtroppo nel 1977. “Delle antiche tradizioni”, ricorda, invece, don Peppino De Filippis, “rimangono le zeppole, il dolce tipico di San Giuseppe e la preparazione della “pasta di San Giuseppe” con l’olio extravergine, le acciughe e lo sgombro sotto sale e la mollica di pane tostata, a condire le tripoline che richiamano alla memoria i capelli ricci di San Giuseppe. Poiché la festa ricorreva in Quaresima e allora, in Quaresima non si mangiavano carni, salumi e formaggi, questa succulenta e poverissima pietanza diventò un piatto egualmente gustoso con pochi e semplici ingredienti che piace ancora oggi. Narduccio Carbonara ricorda, invece, come dagli anni ’60 agli anni ’90 del ‘900, si celebrasse quel giorno anche la “Festa degli artigiani” con una messa officiata alle 11.30 nella chiesa dell’Addolorata da don Vito Suglia e con un corteo che partiva alle 11.00 dalla sezione dell’Acai (Associazione Cristiana Artigiani Italiani) in via Diego Martinelli.

 

 

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