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Emissioni Magel. Il TAR respinge il ricorso della Divella, l'art. 13 ancora vigente

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di Gianni Nicastro

Il 23 settembre scorso una persona molto, molto, interessata, incontrata su via Diego Martinelli, mi ha chiesto il motivo per cui non avessi parlato della sentenza del TAR che ha bocciato il ricorso della Divella contro la nuova autorizzazione della Città Metropolitana di Bari alle emissioni in atmosfera della Magel. Gli ho risposto che non ero a conoscenza del fatto che fosse stata emessa la sentenza di merito, tra l’altro pubblicata il 20 settembre, tre giorni prima di quell’incontro. Ho chiesto, al molto interessato, di darmela la sentenza in modo che ne potessi scrivere, ma non me l’ha voluta dare. Mi sono, quindi, messo alla ricerca di questa sentenza non avendo il numero del ricorso e, con qualche difficoltà, sono comunque riuscito a scaricarla dal sito internet del Tar Puglia.

Un po’ di storiarespinto-ricorso-divella-1
Questa vicenda comincia al TAR con il ricorso presentato, sempre dalla Divella, a ottobre del 2015 contro la prima autorizzazione alle emissioni in atmosfera. Questo primo ricorso ha prodotto tre risultati: la sospensione, da parte del TAR, dell’efficacia della prima autorizzazione, l’avvio di un procedimento di riesame della stessa autorizzazione da parte della Città Metropolitana e gli accertamenti tecnico ambientali, un vero e proprio monitoraggio, sui fumi prodotti dal processo di fusione del PVC e del Polietilene attraverso cui la Magel produceva, e produce, teli e lacci di plastica per l’agricoltura. Un monitoraggio condotto dall’ARPA Puglia e svolto in contraddittorio, cioè alla presenza dei tecnici delle parti.

Dopo il monitoraggio, che non ha rilevato nessun superamento dei limiti di legge delle particelle inquinanti monitorate, e dopo un anno di riunioni della conferenza di servizi istituita intorno al procedimento di riesame dell’autorizzazione del 2015, il Servizio tutela e valorizzazione dell'ambiente della Città Metropolitana di Bari ha concesso alla Magel una nuova autorizzazione alle emissioni in atmosfera, con limiti più stringenti. Questo è avvenuto il 2 maggio 2017 con la determina n. 2338. Quindi, chiuso il riesame a favore della Magel, la Divella, un mese dopo, ha impugnato la determina 2338, cioè la nuova autorizzazione alle emissioni in atmosfera. Il 27 luglio successivo il TAR ha respinto l’istanza cautelare avanzata dalla ricorrente rinviando la decisione all’udienza di merito che si è tenuta esattamente un anno dopo, il 4 luglio 2018, udienza che si è conclusa con l’emanazione della sentenza sfavorevole alla Divella pubblicata, appunto, il 20 settembre scorso.

La sentenzarespinto-ricorso-divella-3
Vi si leggono le diverse contestazioni che Divella ha mosso alla Città metropolitana circa la nuova autorizzazione e anche all’ARPA per la metodologia usata nel monitoraggio ambientale. “Ad avviso della ricorrente -scrivono i giudici nella sentenza-, A.R.P.A. Puglia avrebbe condotto le attività di indagine scientifica (in particolare relativamente al monitoraggio del cloruro di vinile monomero - CVM aerodisperso, nonché sui cromatogrammi e relativi spettri di massa), senza il necessario approfondimento e incorrendo in errori metodologici”. Questa critica ha portato l’ARPA a costituirsi in giudizio contro il ricorso “rivendicando la correttezza dei propri metodi di indagine tecnico-scientifica”.

La ricorrente, nel ricorso, ha contestato anche il fatto che la Magel, sulla base dell’art. 13 delle norme tecniche di attuazione (NTA) del PIP di via Adelfia, non poteva insediarsi in quello stesso PIP per via della sua attività produttiva, “consistente nella trasformazione di polimeri termoplastici”, attività che rientrerebbe nella definizione di industria insalubre contenuta nel DM 5 settembre del 1994. La rivendicazione dell'art. 13 ha spinto la Magel a presentare un ricorso incidentale contro quello stesso art. 13 temendo che il tribunale, sulla questione, potesse dar ragione alla Divella.

Alla fine i giudici amministrativi non hanno accolto il ricorso principale, quello sull’autorizzazione alle emissioni, perché “infondato nel merito”. “Per questo motivo”, si legge nella conclusione della sentenza, “il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sede di Bari, Sezione I, definitivamente pronunciando:
- dichiara inammissibile la censura, di cui al primo motivo di ricorso, relativa all’inclusione della società Magel S.r.l. nell’elenco delle aziende insalubri, di cui al R.D. n. 1265/1934;
- respinge nel merito il ricorso principale, quanto ai restanti motivi;respinto-ricorso-divella-4
- dichiara improcedibile il ricorso incidentale”.

Inammissibile e improcedibile
La sentenza, dunque, ha riguardato solo il ricorso -rigettandolo- contro l’autorizzazione alle emissioni in atmosfera; sull’art. 13 del PIP i giudici non si sono espressi nonostante sia stato tirato in ballo da entrambe le parti su fronti opposti. 

Non si sono espressi perché “la censura”, operata dalla Divella nel suo ricorso, “secondo la quale -scrivono i giudici- l’autorizzazione non terrebbe conto della circostanza che l’azienda controinteressata, estrudendo plastica a caldo, rientrerebbe nell’elenco delle aziende insalubri (…), è inammissibile per genericità, in quanto le brevi considerazioni esposte dalla ricorrente, in aggiunta alla mancata allegazione di qualsivoglia motivazione a sostegno delle stesse, non ne consentono un compiuto ed argomentato sindacato da parte dell’organo giurisdizionale”. Il ricorso incidentale della Magel, invece, “è da considerarsi improcedibile -si legge sempre nella sentenza- per sopravvenuta carenza di interesse ad una pronuncia di merito sul medesimo” in quanto respinto il ricorso principale.

Ora, la Divella ha perso il ricorso sull’autorizzazione alle emissioni in atmosfera, ma rimane ancora in piedi tutta la questione legata all’art. 13 delle NTA del PIP, norma urbanistica che vieta l’insediamento nel PIP di via Adelfia alle industrie “che -cito testualmente- esercitano lavorazioni producesti gas, esalazioni insalubri o comunque pericolose comprese nella prima classe degli elenchi contenuti nel D.M. 23.12.1976 e successive modifiche ed integrazioni”.respinto-ricorso-divella-5

Il “superamento” bocciato dal TAR
Ai lettori ricordo che sull’art. 13 a dicembre del 2015 si è consumato uno scontro senza precedenti (qui) tra la Divella e l’amministrazione Romagno2 che, proprio durante lo scontro al TAR tra la nota azienda alimentare e la Magel, quindi nella fase del riesame della prima autorizzazione, ha portato in consiglio comunale -con modalità molto discutibili- il “superamento”, cioè, la sostanziale abolizione, di quello stesso articolo 13. Delibera di consiglio che, su ricorso presentato dalla stessa Divella a febbraio del 2016, è stata annullata dal TAR con una sentenza che ha censurato pesantemente il comportamento sia dell’amministrazione comunale, che del presidente del consiglio Michele Maggiorano.

Ad oggi l’art. 13 è vigente, nel PIP di via Adelfia, quindi, vige ancora il divieto di insediamento di industrie con lavorazioni insalubri. La Romagno2 ha appellato la sentenza che ha ripristinato l’art. 13, ma il suo ricorso giace da tre anni al Consiglio di Stato senza che sia stata mai fissata una udienza.

L’interessante parere della ASL BA
C’è da dire, infine, un’altra cosa. La determina dirigenziale 2338/2017 del “Servizio Edilizia, impianti termici, tutela e valorizzazione dell'ambiente” della Città Metropolitana di Bari, impugnata dalla Divella, nella parte relativa alle “prescrizioni”, alla lettera “K” dice questo: “Il presente parere è espresso esclusivamente per quanto attiene alle emissioni in atmosfera dichiarate dall’istante. E’ esclusa dal presente parere qualunque valutazione sotto il profilo urbanistico ed ambientale con riferimento agli strumenti urbanistici ed edilizi vigenti ed ai vincoli territoriali di ogni ordine, grado e tipo nonché con i diritti dei terzi”. Come dire, un crespinto-ricorso-divella-2onto è l’autorizzazione alle emissioni, un altro conto sono gli strumenti urbanistici, quindi, le norme urbanistiche, quindi, l’art. 13 delle NTA del PIP; il che significa che tutte le aziende e le industrie che si insediano nel PIP di via Adelfia, devono fare i conti -finché sono vigenti- con quegli strumenti e quelle norme urbanistiche, a prescindere.

Forse è per questo che la ASL, chiamata -insieme a tutti gli enti interessati- al tavolo della conferenza di servizi istituita a novembre del 2015 presso la Città Metropolitana, ha più volte inviato considerazioni critiche circa la presenza della Magel nel PIP. “In merito alla caratterizzazione di Industria Insalubre -ha, infatti, comunicato il 26 gennaio 2016 via PEC il dott. Francesco Nardulli, direttore SISP Area SUD ASL BA-, la trasformazione di materie plastiche effettuate dalla ditta Magel rientra tra le Industrie Insalubri di I^ classe di cui al punto 80 della lettera B dell’elenco prodotti e materiali di cui al D.M. 5.9.94 e s.m. e i. e pertanto rientra nelle previsioni di cui all’art. 216 del R.D. n.1265/1934”.

Oltre a questo, nella determina 2338/2017 si legge, ancora, che “la ASL Puglia trasmetteva il proprio parere prot. n. 59011 del 22.03.2016 nel quale descriveva la Magel quale azienda che ha tra le proprie attività lavorazioni rientranti nell’elenco delle Industrie Insalubri di prima classe al n°80 trasformazione di materie plastiche e quindi «… non è possibile esprimere parere sulle emissioni in atmosfera rivenienti da attività che non può essere insediata nella zona P.I.P. del Comune di Rutigliano, a norma delle N.T.A». Sempre nella determina in questione si legge che “la ASL BA SISP”, il 6 aprile 2016, “ribadiva il precedente parere redatto in data 22.03.2016”.

la ASL, quindi, in sede di conferenza di servizi, ha posto per tre volte la questione dell’insalubrità del tipo di lavorazione della Magel fino a dichiarare che non era possibile esprimere un suo parere sulle emissioni in atmosfera della stessa Magel perché questa non poteva “essere insediata nella zona P.I.P. del Comune di Rutigliano, a norma delle N.T.A”, cioè a norma dell’ormai famoso articolo 13.

Siamo, dunque, di fronte alla paradossale situazione che vede una attività industriale essere autorizzata alle emissioni in atmosfera in un luogo nel quale, secondo la ASL, non poteva neanche “essere insediata”.

 

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