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Il grano buono, da risorsa culturale a risorsa agricola

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di Gianni Nicastro

Già averlo come risorsa culturale, che affonda le sue radici nel neolitico qui a Rutigliano, è un fatto in sé straordinario. Che possa anche trasformarsi in risorsa agricola e produttiva, su un territorio dove l’agricoltura è il motore dell’economia, è auspicabile, una grande opportunità. Si dice che il “Grano Buono”, tutto nostro, autoctono, sia adatto in cucina e si combini bene in vario modo, con carne, pesce, verdure, sugo... nella preparazione di varie pietanze.
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Abbiamo avuto modo di conoscere più da vicino il nostro potenziale “oro giallo”, che con la sua spiga appare in una delle facce dell’Azetinon, moneta coniata in proprio dell’antica città peuceta di Azetium (IV secolo a. C. - tarda età imperiale), città che, più tardi, darà i natali a quella che oggi è Rutigliano.

Sabato scorso, durante la “Festa del Grano Buono di Rutigliano”, si è tenuto un seminario proprio su questo particolare grano, al quale ha partecipato Gianni Capotorto (giornalista e storico locale) che ha moderato gli interventi di Pietro Poli, presidente dell’associazione “Porta Nuova” organizzatrice dell’evento, Pinuccio Valenzano, assessore all’Agricoltura, Pasquale Redavid, presidente del Gal-SEB, Benedetta Margiotta, ricercatrice del CNR Istituto di Bioscienze e BioRisorse (CNR-IBBR, Bari) e del sindaco Roberto Romagno. Seminario interessante sul piano storico e scientifico.

Intanto partiamo da un dato: nell’edizione 2016 il grano offerto ai visitatori è stato, per la prima volta, interamente quello “Buono”, cucinato -come sempre- dai volontari dell’associazione. «Noi per la prima volta, stasera, mangiamo il grano Buono di Rutigliano» ha detto, infatti, Pietro Poli. «E’ il grano -ha aggiunto- che il CREA-SCA (Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, Unità di ricerca per i sistemi colturali degli ambienti caldo aridi, n.d.r.) l’anno scorso ha mietuto; una parte se l’è tenuta per seminarlo, l’altra l’ha data a noi».
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I visitatori, dunque, hanno mangiato solo grano qualità “Buono” nell’ambito di una festa che vuole valorizzarlo come risorsa e come se, questo grano, fosse già in “produzione”. Una cosa molto interessante, anticipatrice, forse, di una sagra del grano vera e propria, a consacrazione annuale di una prodotto agricolo autoctono davvero come non ce ne sono altri a Rutigliano, carico non solo della sua naturale bontà cerealicola, ma anche di significato storico-archeologico, di una memoria millenaria che sarebbe un imperdonabile peccato si disperdesse o rimanesse a disposizione solo di una ristretta cerchia di cultori e ricercatori.

«Oggi abbiamo un quantità significativa di grano prodotto dal CREA-SCA, si parla ormai di quintali, cosa che Rutigliano non ha mai avuto nella sua storia» ha detto Pasquale Redavid in riferimento al Grano Buono. «Quindi -ha proseguito- abbiamo un prodotto che sicuramente il prossimo anno verrà distribuito agli agricoltori che vorranno coltivarlo».

Il presidente del GAL, uno degli enti promotori del protocollo di intesa sulla sperimentazione, valorizzazione e promozione del grano Buono, ha detto che l’anno prossimo si comincerà a produrlo questo grano, a promuoverlo e a pensare «come identificarlo con un proprio marchio». «Vi dico subito -ha aggiunto Redavid- che già ce lo stanno chiedendo dall’Inghilterra, dalla Germania, perché ormai la notizia viaggia e ci sono ristoranti e importatori attenti alla dieta mediterranea che cominciano a chiederci questo grano Buono». «Spero, quindi -ha concluso l’ex vicesindaco- che a presto ci possano essere prospettive anche di commercializzazione».

grano-pierino-poliUna prospettiva interessante oggi più realistica perché, secondo i relatori del seminario, grazie al CREA-SCA, ci sarebbero le quantità di grano necessarie ad un utilizzo seminativo su scala molto più grande. Un grano che potrebbe essere coltivato per farne un prodotto di nicchia, come si è detto quella sera. Di nicchia se consideriamo l’enorme quantità di frumento consumato nella produzione industriale di pasta e prodotti da forno, ma che potrebbe avere un interessante sbocco commerciale se si considera il mercato della ristorazione in Italia e nel mondo, soprattutto in Europa.

Una prospettiva facilitata dall’attenzione, sempre crescente in larga parte dei consumatori, verso prodotti alimentari genuini, buoni, ancora meglio se biologici, tracciabili e che abbiano anche una storia legata al territorio di produzione.

Il grano Buono di Rutigliano, “le cui cariossidi hanno la particolarità di essere consumate direttamente, senza molitura, viene coltivato da sempre nel territorio di interesse del GAL SEB, ed una produzione effettuata utilizzando sementi selezionate, consentirebbe un buon ritorno economico sia per gli agricoltori che per gli operatori della filiera” si legge, infatti, in una delibera -la 141 del 30 ottobre 2014- con cui il CREA-SCA approva la sottoscrizione del “protocollo d’intesa con il GAL SEB”.

Sulle qualità del grano Buono di Rutigliano e sulle possibilità di un suo utilizzo agricolo, abbiamo intervistato la dott.ssa Benedetta Margiotta, ricercatrice dell’Istituto di Bioscienze e Biorisorse del CNR che al seminario ha illustrato i momenti più salienti della sperimentazione fatta, insieme ad altri ricercatori, sulla base del citato protocollo di intesa sottoscritto il 27 aprile 2015 tra Università di Bari, Politecnico di Bari, Consiglio nazionale delle Ricerche, comune di Rutigliano, GalSEB e Porta Nuova.

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Dottoressa Margiotta, sul piano della qualità e del tenore proteico a che livello è il grano Buono di Rutigliano.
«Per quanto riguarda le proteine, abbiamo determinato il contenuto proteico e definito la composizione di gruppi proteici noti perché associati alla qualità. L’idea è quella, di proseguire con gli studi, al fine di definire tutte le caratteristiche di questo grano e le sue peculiarità. Diciamo che l’obiettivo è quello di caratterizzarlo, fondamentalmente, e valorizzarlo passando anche attraverso una serie di determinazioni o valutazioni scientifiche che possano, in qualche modo, accertare o dimostrare che sia migliore, se non altro rispetto ad altri grani antichi. Perché, è inutile dire, le varietà commerciali hanno una loro valenza, uno loro valore economico, però, oggi, si sta un po’ riscoprendo l’importanza dei grani antichi più che altro per il recupero di alcuni caratteri genetici».

Il Grano Buono di Rutigliano rappresenta solo una risorsa culturale, o può diventare in prospettiva una risorsa anche agricola e produttiva.
«Io ritengo che possa diventare una risorsa agricola sul piano produttivo per un semplicissimo motivo: ha un qualcosa che lo rende buono soprattutto per la gente del territorio che è molto legata a questo grano. E’ stato possibile grazie al progetto SaVeGraINPuglia attuato nell’ambito dei Progetti Integrati per la Biodiversità, PSR PUGLIA 2007-2013 (Misura 214/4 sub-azione a)  che enfatizzano la riscoperta, il recupero e la conservazione nel territorio dei grani antichi, recuperare informazioni storiche e conoscenze degli agricoltori più anziani relative al “grano buono”, definire  la sua conservazione “in situ” che significa dare la possibilità ai vecchi agricoltori, che lo coltivavano a livello familiare, di continuare a coltivarlo e magari tirarci fuori qualcosa in più. Ora, se si riuscisse a mettere a regime tutto questo per creare un piccolo valore aggiunto per la città di Rutigliano, a noi farebbe tanto piacere».
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Si potrebbe pensare a un marchio di qualità tipo la DOP, che valorizza le produzioni di specialità autoctone, come il Grano Buono è a tutti gli effetti?
«Diciamo che parlare di marchi adesso è prematuro. Noi aspettiamo di ottenere una serie di dati scientifici che serviranno nell’insieme a dare delle risposte. Il marchio è già un passaggio in più rispetto ai risultati ottenuti e che si potranno ottenere mettendo insieme metodologie diverse. Ho presentato in sintesi ed a nome dei colleghi provenienti da vari Enti di Ricerca Pubblici, inseriti all’interno del protocollo d’intesa, il lavoro svolto da gruppi di ricerca con attività piuttosto eterogenee, ed è proprio dalla multidisciplinarietà che potrà nascere qualcosa di positivo».

Il presidente dell’associazione Porta Nuova, nel seminario del 9 luglio scorso, raccontando da dove nasce il progetto sul Grano Buono, ha parlato di Marcello Mastrorilli, Direttore del CREA-SCA, il quale «già dal 2000 aveva in mano tutta la storia» di questo grano. E’ stata «la curiosità scientifica» del ricercatore, stimolata dall’aver mangiato un piatto di grano Buono a Rutigliano, a riscoprire e portare in auge questo cereale.

Di Mastrorilli, autore della ricerca “Il Grano Buono di Rutigliano: le evidenze Agronomiche”, abbiamo recuperato un video trovato su YouTube (canale “Puglia Convegni”), probabilmente girato a Rutigliano, nel quale spiega le qualità e le potenzialità agricole di questo nostro, speciale, antico, grano.

Qui sotto il video



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