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SI DICE DI BAMBINO DISCRIMINATO IN PARROCCHIA, PARLA DON EMILIO

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di Gianni Nicastro


Ieri mattina siamo rimasti di stucco quando su facebook abbiamo letto di un bambino diversamente abile di nove anni (che chiameremo “Vito”) a cui sarebbe stato negato “di prendere parte al corso di catechesi” che si svolge nella parrocchia della Chiesa Madre. Detta così la cosa non poteva che suscitare indignazione e fortemente indignati, infatti, sono stati i commenti seguiti a quella notizia.
Ieri pomeriggio ci siamo affacciati in parrocchia, abbiamo parlato della vicenda con don Emilio Caputo, arciprete e parroco della Chiesa Madre. Ci ha accolto così: «Innanzitutto voglio ringraziarvi per essere qui alla fonte, cioè a sentire l’altra parte. Perché, effettivamente, è quasi da vigliacchi mettere in giro certe voci senza che l’interessato lo sappia, si possa difendere, possa spiegare».

L’accusa di discriminazione nei confronti di un bambino disabile non è un pettegolezzo qualsiasi, un qualcosa che possa lasciare indifferenti, in modo particolare quando il destinatario di una simile accusa è uomo di chiesa. «Nessuno, nessuno a Rutigliano -ci ha detto indignato a sua volta don Emilio- si può permettere di dire qualcosa nei confronti della catechesi di questa parrocchia, non perché sto io; ma da anni, con Don Felice, questa parrocchia è sempre stata accogliente nei confronti dei diversamente abili. Basta chiedere ai genitori di quei bambini, che in questi anni sono stati accolti. Sono venuti ai ritiri, ai campi scuola, hanno partecipato a tutte le attività, alla formazione, hanno ricevuto i sacramenti… E per ognuno, per ognuno, la parrocchia è riuscita a trovare una soluzione come, per tre anni, ha fatto per Vito trovando soluzioni adeguate».

Non c’è, dunque, nessun intento discriminatorio da parte della parrocchia, dei catechisti, su Vito e, in generale, sui diversamente abili.
«Assolutamente!».

Don Emilio, chi avrebbe messo in giro questa voce.
«La mamma. Allora, ogni anno con Vito si creano situazioni incresciose nell’aula: lancio di sedie, situazioni un po’ pericolose per gli altri bambini. Abbiamo sempre avuto rimostranze da parte di altre mamme e ho sempre spiegato loro che bisogna avere pazienza, che bisogna accogliere tutti, quindi il bambino è stato sempre accolto. Noi ci siamo anche informati presso gli insegnanti della sua scuola su come comportarci. Purtroppo noi siamo una agenzia di volontariato, non è che al catechismo abbiamo lo psicologo, l’insegnante di sostegno. Le catechiste sono mamme volontarie che hanno la capacità della catechesi, ma non sanno bene come intervenire».

Nonostante i problemi comportamentali, il bambino la catechesi per tre anni l’ha comunque fatta.
«Eccome, certo».

E quest’anno perché non l’avete preso.
«Non è vero che non l’abbiamo preso».

Se l’avete preso allora qual è il problema.
«Quest’anno la classe farà la prima comunione. Io ho proposto alla mamma di fare quest’anno la catechesi a casa, le ho detto che i catechisti sarebbero disponibili ad andare a casa sua. Il bambino verrebbe regolarmente a messa la domenica, ma la formazione la farebbe a casa. La signora è stata, qui davanti a me, entusiasta della proposta. Poi è venuta ieri sera tutta inalberata, rasentando l’ineducazione (e anche altro), dicendo che noi avevamo discriminato il figlio, che aveva parlato con una persona la quale le aveva detto che quella proposta era una discriminazione. Ma che discriminazione, a Vito lo abbiamo sempre accolto. Insomma io le ho proposto una cosa sulla quale lei stessa è stata d’accordo e contenta, dopodiché è venuta a parlare di discriminazione. Ha proposto poi come soluzione di stare lei nella classe, ma questo non è possibile, non è possibile che una mamma stia nella classe. E’ successo in passato, in prima elementare, che lei sia stata nella classe, ma questo non ha portato beneficio, così come non porta beneficio la presenza della madre o del padre durante la messa in chiesa».

Ma il bambino che tipo di problemi ha, di autismo?
«Di preciso non lo so, forse una forma di autismo con scatti di aggressività. Per Vito, comunque, dobbiamo trovare insieme una soluzione, che certo non può essere quella di dire chiacchierare su facebook».

Faccio, così, una riflessione don Emilio. Certo, parlare di discriminazione in riferimento a quella proposta è decisamente esagerato, un modo forzato di fare polemica. Però, far fare al bambino la catechesi a casa potrebbe sembrare un volerlo isolare da un contesto sociale come è il catechismo fatto in parrocchia. Forse una soluzione potrebbe essere quella di chiedere alla famiglia di mettere a disposizione un volontario che segua, assista, il bambino al catechismo.
«E’ chiaro che ci prodigheremo per trovare un’altra soluzione, che poi è quello che ho detto ieri alla signora, ma lei è andata via convinta che noi volessimo discriminare. Comunque, l’idea che ho è quella di trovare più catechisti e, per Vito, formare una classe di non più di dieci bambini con due catechisti, uno starà vicino a lui».

C’è, dunque, questa possibilità.
«Sono due cose che dobbiamo adesso valutare, abbiamo ancora quindici giorni prima che inizi la catechesi; inizia il 27 o il 28, un po’ di tempo lo abbiamo».

La mamma di Vito, quindi, non ha motivo di preoccuparsi, la soluzione la troverete.
«E’ chiaro, come l’abbiamo trovata gli altri anni la soluzione la troveremo anche quest’anno. Io, insomma, mi sono meravigliato di ieri, quando la signora è venuta qui a gridare -anche con una certa arroganza- quando, due giorni prima, di quella proposta era contenta. Poi, questa persona che le ha detto che la chiesa sta discriminando il bambino, poteva venire con lei ieri sera e dire vedi, don Emilio, quest’anno Vito è cambiato, non è più quello di qualche mese fa, non è il caso di fare questa cosa che hai proposto. E magari questa persona, a me sconosciuta, che dice che le sta vicino, venisse a darmi una mano in parrocchia, ad aiutare Vito nella catechesi e nel gruppo. Così si risolvono i problemi, parlando, non andando su facebook a dire chiacchiere».

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