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Dialogo e amicizia sociale, "Fratelli tutti" VI parte

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Sac. Pasquale Pirulli
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Nel mondo attuale dei media di oggi fanno più rumore gli scontri e conflitti a differenza del dialogo paziente e perseverante che ha salvato famiglie e comunità e rende più umano il nostro mondo. Ecco la ricchezza del dialogo: “avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto”. (198)

Il dialogo sociale verso una nuova cultura
Il dialogo è via media tra l’indifferenza egoista che porta alla chiusura in sé stessi, e la protesta violenta che spinge all’aggressione.  Ci deve essere il dialogo tra le generazioni, nel popolo che nel dialogo  si riconosce e si costruisce nell’interscambio e percorre la via verso la verità. Ci deve essere il dialogo tra le diverse culture per la costruzione della società: cultura popolare, cultura universitaria, cultura giovanile, cultura artistica, cultura tecnologica, cultura familiare e ancora la cultura della famiglia, e quella  dei media. (199)
Non sempre l’informazione dei media  favorisce il vero dialogo, perché si fanno monologhi paralleli su contenuti superficiali opportunistici e contraddittori. (200)  I media non facilitano il dialogo perché veicolano spesso errori, utilizzano un linguaggio aggressivo, abituale di una campagna politica, e il dibattito o confronto viene manipolato per piegare a proprio favore l’opinione pubblica.  Questo potere di manipolazione non è solo del governo di turno ,ma  di ogni altro potere economico, politico, mediatico, religioso. La manipolazione è sempre a servizio dei propri interessi economici o ideologici, ma poi arriva il momento della verità. (201) La mancanza di dialogo danneggia il bene comune e favorisce il proprio modo di pensare a vantaggio del vantaggio e potere individualistico . Il papa definisce eroi quelli che rispettano il valore della verità e lo offrono con coerenza e in silenzio alla società.  (202)

Costruire insieme
L’autentico dialogo sociale presuppone il rispetto dell’altro che è sempre portatore di convinzioni e interessi che possono arricchire lo scambio vicendevole. Lo sviluppo delle proprie convinzioni e la crescita di un gruppo nella sua identità si realizzano solo nell’apertura agli altri. Lo spirito del dialogo porta all’attenzione verso l’altro nella sincerità delle proprie convinzioni. La discussione pubblica, eliminato il pericolo della  manipolazione e della propria autosufficienza, facilita il raggiungimento della verità e la possibilità di meglio esprimerla. “Le differenze sono creative, creano tensione e nella soluzione di una tensione consiste il progresso dell’umanità.” (203)
La conoscenza della realtà non può essere monopolio di una disciplina ma richiede il dialogo tra le diverse scienze che mettono assieme i risultati delle proprie ricerche e portano alla conoscenza più integra e piena della realtà. (204) Il contributo dei media e di internet, strumenti attivi nel mondo globalizzato, avvicinano gli uomini i quali devono meglio impegnarsi a costruire il bene comune. (205)

Il fondamento dei consensi
Il relativismo non è la soluzione perché nasconde il pericolo che i potenti propongano e impongano  i loro valori. I programmi politici e le stesse leggi sono allora espressione di potere e la stessa cultura non propone nessuna verità oggettiva e principi universalmente validi. (206) La realtà umana più profonda è la ricerca della verità fondamentale della dignità umana  e su questa base riconosciuta dalla ragione come verità che può orientare e convincere il comportamento di tutti. (207) La <<verità>> non è solo dei fatti sbandierata sulle pagine dei giornali, ma quella dei fondamenti ultimi delle scelte e delle leggi che superano la convenienza e la contingenza e che possiamo qualificare “la verità prima e immutabile” perché universale in quanto scaturisce dalla natura umana. (208) Il rischio è che questi diritti fondamentali e universali vengono negati dai potenti con il consenso estorto da una popolazione  manipolata ed impaurita. Al pericolo del relativismo si aggiunge  quello dell’individualismo indifferente e spietato cui si accompagna ancora quello del potente che impone una presunta verità. (209) La logica perversa e vuota di oggi assimila l’etica e la politica alla fisica e ne deduce che il bene e il male non esistono affatto e si impone il calcolo dei vantaggi e degli svantaggi. Ne deriva che il diritto dimentica il riferimento alla giustizia e quindi ci si rifà alle idee prevalenti che tutto livellano “verso il basso” attraverso un consenso superficiale e fatto di compromessi. Si arre la strada al trionfo della logica della forza. (210)  

Il consenso e la verità
In una società pluralista il dialogo si presenta come la via per superare il consenso occasionale  e arrivare ad una verità immutabile e da osservare sempre. Il dialogo in questo contesto fa tesoro delle ragioni, degli argomenti razionali, delle diverse prospettive, di diversi apporti culturali e poggia sulla convinzione di poter raggiungere verità fondamentali e valori morali universali. Su questi valori sarà possibile costruire una etica sociale solida e stabile. I valori morali universali riconosciuti attraverso il dialogo vanno oltre il contesto attuale e non sono mai negoziabili. (211)   Su una verità perenne colta dall’intelligenza, si può fondare un buon comportamento sociale. Nella natura intima dell’essere umano e della società ci sono strutture fondamentali che assicurano sviluppo e sopravvivenza. Questo non solo con il consenso ma anche con il dialogo. Attraverso il dialogo si possono mettere insieme la convenienza sociale, il consenso e la realtà di una verità obiettiva. (212) Non spetta a noi inventare la dignità della persona umana perché è nella stessa natura e non soggiace a nessuna moda culturale di qualsiasi epoca storica. Spetta all’intelligenza con la riflessione, l’esperienza e il dialogo riconoscere la verità del valore morale della dignità umana. (213) I principi etici basilari devono essere riconosciuti dagli agnostici per evitare nuove catastrofi ma anche dai credenti i  quali riferiscono tali valori al Dio creatore. Ne deriva di uno spazio per un franco e fruttuoso dialogo. (214)

Una nuova cultura
Più che la dialettica che mette uno contro l’altro deve crescere la cultura dell’incontro per favorire  la costruzione di un poliedro che rappresenta una società umana in cui le differenze si superano integrandosi e si recuperano anche le periferie superando discussioni e diffidenze. (215)  

L’incontro fatto di cultura
Il termine “cultura” fa riferimento al popolo, alle sue convinzioni e al suo stile di vita. La cultura caratterizza il modo stesso di vivere del popolo. Quindi quando si parla di “cultura dell’incontro” si vuol dire che è lo stesso popolo a  volersi incontrare, a cercare punti di contatto, a gettare ponti e a voler progettare qualcosa coinvolgendo tutti.  La cultura fa riferimento a tutto il popolo nella sua globalità. (216) La cultura dell’incontro assicura la pace sociale che è sempre laboriosa e artigianale perché si confronta con una realtà di diversi e non può limitarsi ai soli  “puri” ma rivolgersi a tutti anche a quelle persone che sbagliano e non deve dimenticare le giuste rivendicazioni sociali. Bisogna avviare processi di incontro per costruire un popolo che sappia raccogliere in sè stesso le differenze. (217)   

Il gusto di riconoscere l’altro
Il riconoscere il diritto dell’altro ad essere stesso nella sua diversità deve prima diventare cultura e poi dar vita a un patto sociale. Dietro la violenza del rifiuto sin nasconde la violenza più subdola di disprezzare il diverso cui non si riconosce la validità delle proprie rivendicazioni. (218) La dimenticanza dei poveri, l’ignoranza dei diritti degli altri fanno sì che la libertà, l’uguaglianza e la fraternità rimangano parole vuote perché non sono di tutti.  Non è vero dialogo o incontro sociale quello che si realizza solo a livello economico, politico o accademico, ma quello che avviene tra culture perché interpretano le attese dei popoli. Un patto sociale è anche “patto culturale” nel rispetto delle diverse visioni del mondo, delle culture e degli stili di vita presenti nella società. (219)   Bisogna rispettare le culture popolari, specialmente quelle dei poveri. Il “patto culturale” rifiuta l’identità interpretata in senso monolitico, ma esige che si rispetti la diversità che deve essere promossa e integrata nella società. (220) In questo patto c’è la possibilità di dover cedere qualcosa per il bene  comune. Non basta la falsa tolleranza ma ci deve essere il realismo dialogante in cui ciascuno rimane fedele ai proprio principio ma riconosce anche il diritto dell’altro a conservare la propria identità. Questo processo di riconoscere l’altro e mettersi al posto dell’altro è il miracolo dell’amore che riconosce ciò che è autentico e comprensibile e accettabile dell’altro. (221)     

Recuperare la gentilezza
Sono denunciati i mali dell’individualismo consumista  che considera gli altri soltanto ostacoli alla propria tranquillità e li si tratta con aggressività. Il quadro si fa nero in periodi di cristi e di situazioni catastrofiche in cui ci si chiude nel “si salvi chi può”.  Chi sceglie di praticare la gentilezza è una stella nella completa oscurità. (222)  San Paolo ai cristiani della Galazia tra i doni dello Spirito ricorda in modo particolare la χρηστότης (chrestòtes=benignità), virtù  che dice un animo benigno e soave disposto a fare il bene degli altri; e si manifesta come gentilezza nel tratto, attenzione a non ferire gli altri, alleviare il peso altrui.  Nel dialogo sceglie parole di incoraggiamento, di conforto che trasmettono forza, consolazione e coraggio. (223)  La gentilezza eleva le relazioni umane e si esprime anche con le semplici parole: “permesso”, “scusa”, “grazie” e contribuisce a creare una convivenza serena di ascolto, stima e rispetto dell’altro. La gentilezza trasforma la cultura, i rapporti sociali, il modo di confrontarsi e facilita la ricerca di consensi a differenza dell’esasperazione che distrugge tutti i ponti. (224)

Commento
Il santo papa Paolo VI, nella sua prima enciclica “Ecclesiam suam” del 6 agosto 1964, insisteva sul dialogo all’interno della Chiesa e di questa con il mondo. Papa Francesco in questo sesto capitolo della sua ultima enciclica “Fratelli tutti” si sofferma ad illustrare la categoria del dialogo nei suoi aspetti personali e sociali. Prima di tutto egli offre una definizione del dialogo “tra le persone” invitandole a “avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardare, conoscersi, provare a comprendersi, cercare punti di contatto” e lo considera l’antidoto agli scontri e ai conflitti che affliggono il mondo attuale.  Sul piano sociale bisogna recuperare non solo il dialogo  tra le generazioni e all’interno di un popolo ma anche quello tra le culture. Purtroppo la cultura mediatica molto spesso superficiale e frettolosa innesca la tentazione di screditare l’altro con epiteti umilianti e ostacolare il dialogo. Il tono aggressivo del linguaggio proprio della lotta politica e lo stile proprio delle trattative economiche non favoriscono un dialogo aperto e costruttivo.

E’ una logica malsana che può essere vinta soltanto da chi propone la parola della verità con il rispetto degli altri. Si impone il dialogo nella sua dimensione sociale perché ognuno ha il suo contributo di verità che può arricchire gli altri e può essere arricchito nel dialogo con gli altri. Si insiste sullo spirito di dialogo che permette di unire la propria sincerità con il dialogo  aperto agli altri. A ciò contribuisce la discussione pubblica che mette in crisi la pretesa di una verità che rimane parziale perché monopolio o espressione di un gruppo. Si impone in questo spirito aperto il dialogo tra le diverse culture, che partendo dalla positiva esperienza della ricerca scientifica, agevola la conoscenza della realtà dei diversi problemi sociali. Una nota che deve caratterizzare il dialogo è il riconoscimento della dignità degli interlocutori, che è una dignità originaria al di là dei condizionamenti storici e culturali. Il papa insiste sulla verità che i principi etici universali, riconosciuti dagli agnostici, e anche dai credenti sono un terreno di fecondo dialogo.

L’incontro tra le persone diventa un fatto di grande valenza culturale, perché permette di ricercare la verità fondamentale che può ordinare positivamente la compagine sociale. Purtroppo il contesto culturale tende a fermarsi al relativismo e quindi le norme morali contingenti rispecchiamo  i valori e gli interessi dei potenti e tendono a livellare tutto  verso il basso. Soltanto con il dialogo è possibile aver un consenso sulla verità fondamentale  della dignità della persona e quindi avviare un positivo recupero della cultura del popolo che diventa se4mpre più “cultura dell’incontro” Proprio questa nuova cultura rende possibile la difficile pace sociale che è frutto dello sforzo di un popolo che rivolge la sua attenzione anche alle classi più deboli.

Si riscopre così il gusto di riconoscere l’altro, valorizzando il suo originale e personale apporto non solo alla conoscenza della verità ma anche il suo contributo alla cultura di tutti. Dal dialogo culturale si origina un positivo dialogo sociale in cui a tutti sono assicurati i valori della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità. Il papa richiama e sottolinea anche il valore di un “patto culturale” che può facilitare l’amicizia sociale e quindi la maturazione di una positiva “cultura dell’incontro”. Per il cristiano si tratta di superare ogni forma di individualismo che umilia la dignità degli altri e aprire il cuore alla pratica della virtù della benevolenza,. che significa apertura ai problemi degli altri, facendosi carico delle loro urgenze e angosce. La carità sociale si esprime con la nota della gentilezza che recupera il rispetto degli altri che sono fratelli e si rivolge loro con le semplici parole: “permesso”, “scusa”, “grazie” nell’intento di eliminare ogni barriera di ostilità e costruire ponti di socialità autentica a universale.  

 

     

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