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Le ombre di un mondo chiuso

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Sac. Pasquale Pirulli

Dopo una nota introduttiva alla terza enciclica di papa Francesco dal titolo “Fratelli tutti”,  si propone una lettura riassuntiva del testo, che ha un grande respiro ecumenico e affronta la problematica della fraternità e dell’amicizia sociale con attenzione alle diverse questioni implicate, questioni di umanità e di socialità a livello universale, superando gli steccati della cultura tradizionale e delle stesse religioni chiamate al dialogo e alla collaborazione per il bene di tutti gli uomini.

Nel primo capitolo dal titolo “Le ombre di un mondo chiuso” il papa analizza e denuncia gli ostacoli allo sviluppo di una fraternità universale.

1) Sogni che vanno in frantumi
Dopo le dolorose guerre mondiali i popoli hanno sognato un’Europa unita e anche nel continente latino-americano ci sono stati tentativi di accordi che hanno suscitato molte speranze ma pochi frutti. (10) Purtroppo c’è un ritorno indietro perché ci sono ancora nel mondo conflitti anacronistici, nazionalismi “chiusi, esasperati, risentiti e aggressivi”. Il papa invita ad andare avanti verso mete più alte e si dice convinto che i valori vanno conquistati ogni giorno. Non bisogna ignorare le situazioni di ingiustizia che affliggono gli altri e ci interpellano (11)
“Aprirsi al mondo” è lo slogan del nostro tempo ma “la globalizzazione ci rende vicini ma non fratelli”. I mercati rendono gli uomini consumatori e spettatori e sono i più forti ad affermarsi e le regioni più deboli e povere corrono il rischio di perdere la loro identità. Gli ideali della politica nulla possono contro lo strapotere dell’economia che ha questo slogan: “divide et impera”.  (12)

2) La fine della coscienza storica
Il secondo ostacolo è la perdita della coscienza storica perché si impone la strategia del “decostruzionismo”, cioè si tenta di partire da zero con un individualismo vuoto. E’ una nuova tecnica di lotta: distruggere il passato e i suoi valori di umanità per costruire, magari senza un progetto, e dominare, senza opposizioni. Specialmente i giovani sono invitati ad ignorare e disprezzare la storia delle passate generazioni. (13) Si impone così una colonizzazione culturale che costringe i popoli a perdere con la tradizione la propria identità e quindi a non recepire e valorizzare le positive conquiste del passato, che sono racchiuse nelle parole: democrazia, libertà, giustizia, unità. (14)

3) Senza un progetto per tutti
La diffusa mancanza di speranza facilità il dominio e quindi la stessa politica “esaspera, esacerba e polarizza” non proponendo progetti per lo sviluppo di tutti e per il bene comune. Si esaspera il di battito e si scade nella controversia e nella contrapposizione (15) C’è lo scontro di tutti contro tutti e “vincere significa distruggere” e quindi ci si concentra sull’interesse individuale senza “alzare la testa per riconoscere il vicino o mettersi accanto a chi è caduto lungo la strada”. Amara questa  logica riflessione: “Un progetto con grandi obiettivi per lo sviluppo di tutta l’umanità oggi suona come un delirio”. Aumentano le distanze tra gli uomini  e si blocca il cammino verso un mondo più unito e più giusto.(16)  Purtroppo manca la coscienza del “noi” e di abitare una “casa comune”. Si sta affermando una cultura  “vuota, protesa all’immediato e priva di un progetto comune” e  con l’esaurimento delle necessarie risorte si affaccia il rischio di “nuove guerre, mascherate di nobili rivendicazioni” (17)

4) Lo scarto mondiale 
Il terzo ostacolo per un mondo fraterno è la pratica dello “scarto” che mira alla eliminazione dei nascituri (che non servono ancora) degli anziani (che non servono più) e i poveri e i disabili. Un  esasperato individualismo che tutela i propri interessi spinge non solo a considerare “oggetto di scarto il cibo o i beni superflui ma spesso gli stessi esseri umani”. (18)  Il papa denuncia il fatto che durante la pandemia del coronavirus gli anziani siano stati abbandonati  nelle rsa: non dovevano morire così! “Non ci rendiamo conto che isolare le persone anziane e abbandonarle a carico di altri senza un adeguato e premuroso accompagnamento della famiglia, mutila e impoverisce la famiglia stessa”. Cosa dire del mancato dialogo tra i giovani e gli anziani. (19) La cultura dello scarto è alla radice di altri fatti deprecabili come la disoccupazione e il razzismo, e la povertà. (20) perché insieme alla ricchezza nel mondo moderno si sono create “muove povertà”. Papa Francesco porta un esempio: “In altri tempi non avere accesso all’energia elettrica non era considerato un segno di povertà, e non era motivo di grave disagio. La povertà si analizza e si intende sempre nel contesto delle possibilità reali di un momento storico concreto”. (21)

5) Diritti umani non sufficientemente universali
A questo proposito il papa denuncia che “di fatto, i diritti umani non sono uguali per tutti” a dispetto del fatto che “il rispetto di tali diritti è condizione preliminare per lo stesso sviluppo sociale ed economico di un Paese”. Purtroppo ci sono tante contraddizioni e numerose forme di ingiustizia “nutrite da visioni antropologiche riduttive e da un modello economico fondato sul profitto, che non esita a sfruttare, a scartare e perfino ad uccidere l’uomo”. All’opulenza di alcuni si contrappone la mancanza di dignità  degli altri i cui diritti fondamentali sono ignorati o violati. (22)  Alle donne non sono assicurati gli stessi diritti degli uomini perciò “doppiamente povere sono le donne che soffrono situazioni di esclusione, maltrattamento e violenza, perché spesso si trovano con minori possibilità di difendere i loro diritti”. (23) Altra dolorosa piaga che offende la dignità umana è quella della schiavitù, che soltanto a parole è stata abolita, ma purtroppo perdura ancora quando si considera la persona umana come un oggetto, privata della sua libertà. Il papa denunzia le reti criminali che utilizzano le moderne tecnologie informatiche per attirare giovani donne costrette poi ad abortire oppure sequestrano le persone per vendere i loro organi. Ci si augura che ci sia uno sforzo comune e altrettanto globale per sconfiggere questo fenomeno criminale. (24)

6) Conflitto e paura
Dinanzi a guerre, attentati, persecuzioni per motivi razziali o religiosi e a tanti soprusi contro la dignità umana si può parlare di una “terza guerra mondiale a pezzi” (25) Così viene distrutto “lo stesso progetto di fratellanza , iscritto nella vocazione della famiglia umana” e si diffonde in tutti la sfiducia e il ripiegamento su sé stessi. Si apre dinanzi al nostro mondo una dolorosa dicotomia: la falsa sicurezza di garantire la stabilità e la pace e la mentalità di paura e di sfiducia. (26) Non si possono dimenticare le paure ancestrali che non sono mai state superate dal progresso tecnologico. Ci si chiude nelle mura del proprio villaggio e si alzano barriere di difesa per il “mio” mondo escludendo gli altri che sono anche il mondo ma sono soltanto “quelli”. Viene decisamente condannata la “cultura dei muri” che impedisce “ l’incontro con altre culture, con altra gent. E chi alza un muro, chi costruisce un muro finirà schiavo dentro ai muri che ha costruito, senza orizzonti. Perché gli manca questa alterità”. (27) Questo terreno di solitudine, di paura e di insicurezza favorisce l’azione delle mafie che si presentano come “protettrici” dei dimenticati e avviano legami di dipendenza e di subordinazione opprimenti. (28)

7) Globalizzazione e progresso senza una rotta comune
Papa Francesco richiama la sintonia con il Grande Imam Almad-al-Tayyeb sia nel riconoscere gli sviluppi positivi nella scienza, nella tecnologia, nella medicina, nell’industria e nel benessere dei Paesi sviluppati ma anche nel denunciare il deterioramento dell’etica e dei valori spirituali e del senso di responsabilità. La conseguenza è il diffondersi di “una sensazione generale di  frustrazione, di solitudine e di disperazione”.  Ci sono ancora focolai di tensione, forti crisi politiche, ingiustizia nella distribuzione equa delle risorse naturali e si denuncia il silenzio della morte per fame specialmente dei bambini. In questo panorama di desolazione si prospettano tentativi di progresso , ma manca una “rotta veramente umana” (29) Ci si dimentica di esser sulla stessa barca e ci si chiude nel proprio egoismo dimenticando  che la sola “via per ridare la speranza e operare un rinnovamento rimane la vicinanza e la cultura dell’incontro” (30) Si denuncia uno scisma tra il singolo e la comunità e ci si augura “se alla crescita delle innovazioni scientifiche e tecnologiche corrispondesse anche una sempre maggiore equità e inclusione… se, mentre scopriamo nuovi pianeti lontani , riscoprissimo i bisogni del fratello e della sorella che mi orbitano attorno” (31)

8) Le pandemie e altri flagelli della storia
La pandemia del Covid-19 ci ha resi tutti consapevoli  di “esser una comunità mondiale che naviga sulla stessa barca, dove il male di tutti va a danno di tutti. Ci sdiamo ricordati che nessuno si salva da solo, che ci si può salvare unicamente insieme”. La tempesta della pandemia  ha smascherato la nostra vulnerabilità e ha messo in crisi le nostre pretese sicurezze: è entrato in crisi il nostro “ego” sempre preoccupato della propria immagine, ed “è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli”. (32)
La pandemia ha inferto un duro colpo all’economia di mercato e quindi ci ha obbligato per forza “a pensare agli esseri umani, a tutti, più che al beneficio di alcuni”. Eravamo abituati alla distrazione, chiusura e solitudine e alle connessioni tecnologiche e avevamo perduto il gusto della fraternità. Come prigionieri della virtualità avevamo perduto il senso della realtà. Proprio il dolore, l’incertezza, il timore e la consapevolezza dei propri limiti, con questa dolorosa esperienza, ci costringono a ripensare i nostri stili di vita, le nostre relazioni, l’organizzazione delle nostre società e soprattutto il senso della nostra esistenza. (33) Dinanzi alla pandemia viene giustamente da pensare che “essa sia in rapporto con il nostro modo di porci dinanzi alla realtà con la pretesa di essere padroni assoluti della propria vita e di tutto ciò che esiste”. La pandemia dunque non è un castigo divino e non è la vendetta della natura contro le violenze inferte dall’uomo: Sunt lacrimae rerum et mentem mortalia tangumt (Ci sono le lacrime della creazione e le cose mortali commuovono la mente) (Virgilio, Eneide, I, 462) (34)

Purtroppo noi trascuriamo le lezioni della storia che rimane sempre “maestra di vita” e così dopo la pandemia non dobbiamo più parlare di “altri” ma di “noi” e non possiamo ricadere nel febbrile consumismo e nel cieco egoismo. Non possiamo dimenticare la dolorosa lezione <<degli anziani morti per mancanza di espiratori, in parte come effetto di sistemi sanitari smantellati anno dopo anno” e quindi dobbiamo “scoprire una volta per tutte che abbiamo bisogno e siamo debitori gli uni degli altri, affinché l’umanità rinasca con tutti i volti, con tute le mani e tutte le voci, al di là delle frontiere che abbiamo creato” (35)  Si tratta di costruire una “comunità di appartenenza e di solidarietà” perché lo stile di vita consumistico provoca soltanto violenza e distruzione reciproca. C’è il pericolo di passare dall’egoistico “si salvi chi può” al drammatico “tutti contro tutti” peggiore della grave pandemia che si sta combattendo. (36)

9) Senza dignità umana sulle frontiere
Il fenomeno epocale delle migrazioni viene combattuto dai regimi politici populisti e da una economia liberale e dalla strategia di costringere i Paesi poveri ad adottare una strategia di austerità. I migranti  fuggono dalla guerra, dalle persecuzioni e da catastrofi naturali, e non bisogna dimenticare il diritto di ognuno a cercare condizioni migliori per sé e ka propria famiglia. La debolezza dei migranti è sfruttata dai cartelli della droga e delle armi. (37) La emigrazione è un fatto drammatico perché i migranti ”sperimentano la separazione dal proprio contesto di origine e spesso uno sradicamento culturale e religioso, La frattura riguarda anche le comunità di origine, che perdono gli elementi più vigorosi e intraprendenti, e le famiglie, in particolare quando migra uno o entrambi i genitori, lasciando i figli nel Paese di origine”. Quindi “va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè ad essere in condizione di rimanere nella propria terra”. (38)   Il papa con decisione richiama il dovere dei Paesi di arrivo ad accogliere con fraternità i migranti, combattendo la mentalità senofoba, di chiusura e di ripiegamento su se stessi. Alcune posizioni politiche li escludono della vita sociale e non li rispettano nella loro dignità di persone umane considerandoli di “minor valore, meno importanti, meno umani”. I cristiani  non possono condividere questa mentalità politica di preclusione ma devono far prevalere la lezione della propria fede, cioè “l’inalienabile dignità di ogni persona umana al di là dell’origine, del colore e della religione” (39) Papa Francesco  denuncia “la perdita di quel senso della responsabilità fraterna, su cui si basa ogni società civile” che affligge l’Europa e si augura che proprio partendo dall’affermazione della centralità della persona umana si possano garantire i diritti dei propri cittadini e anche l’assistenza e l’accoglienza dei migranti. (40) Dinanzi ai dubbi e ai timori generati dall’autodifesa intollerante e razzista il papa prospetta i vantaggi e la ricchezza dell’apertura agli altri e della loro inclusione nel tessuto sociale. (41)

10) L’illusione della comunicazione
Il quadro delle ombre che gravano sull’orizzonte dell’umanità si arricchisce anche della illusione della comunicazione  digitale che, annullando le distanze tra gli individui, si trasforma in aggressione all’intimità, perché l’individuo  diventa oggetto di spettacolo. Non si può trascurare il fatto che la stessa comunicazione digitale distacca dalla realtà e ostacola le relazioni interpersonali autentiche. Con il digitale si ha soltanto un’apparenza di socievolezza e di amicizia.  Si intravede nella comunicazione digitale la mancanza di autentica umanità perché non si costruisce “veramente un “noi”, ma solitamente dissimula e amplifica lo stesso individualismo che si esprime nella xenofobia e nel disprezzo dei deboli. La connessione digitale non basta per gettare ponti, non è in grado di unire l’umanità”. (43)
 
12) Aggressività senza pudore
Negli strumenti della comunicazione digitale si nasconde  il rischio di favorire l’aggressività sociale che si manifesta in “insulti, maltrattamenti, offese e sferzate verbali”. (44)  Questa aggressività è fatta propria dalle ideologie  cui si ispirano anche uomini politici. C’è il pericolo di creare meccanismi di manipolazione delle coscienze e del processo democratico e così favorire l’aggregazione di persone che la pensano allo stesso modo e non si arricchiscono con la ricchezza della differenza. (45) Anche le persone religiose corrono il rischio di incorrere nel fanatismo di distruggere gli altri  con la violenza verbale. (45Il papa mette in guardia i media cattolici a non oltrepassare i limiti, a non indulgere alla diffamazione e alla calunnia, dimenticando l’etica e il rispetto del buon nome e mena una sferzata: “Così facendo, quale contributo si dà alla fraternità che il Padre comune ci propone?”. (46)

13) Informazione senza saggezza
Bisogna confrontarsi con la realtà ma c’è la tentazione ad operare una “selezione” dettata dal piacere individuale. Lo stesso processo selettivo lo si mette in pratica nei confronti delle persone e così le persone sgradite vengono eliminate nelle reti virtuali, costruendo un circolo virtuale che ci isola dal mondo circostante. 48) Bisogna recuperare la pratica dell’incontro con l’altro: <<Il mettersi seduti ad ascoltare l’altro, caratteristico di un incontro umano, è un paradigma di atteggiamento accogliente, di chi supera il narcisismo e accoglie l’altro, gli presta attenzione, gli fa spazio nella propria cerchia>>. Il mondo di oggi ha perduto “la capacità di ascolto” e il papa ripropone San Francesco di Assisi come “il santo dell’ascolto”: “San Francesco d’Assisi ha ascoltato la voce di Dio, ha ascoltato la voce del povero, ha ascoltato la voce del malato, ha ascoltato la voce della natura. E tutto questo lo trasforma in uno stile di vita. Spero che il seme di San Francesco cresca in tanti cuori”. (48)  Una equilibrata e saggia comunicazione umana  è messa in crisi dalla mancanza del silenzio e dell’ascolto e anche dalla fretta di messaggi  rapidi e impazienti. In questa dinamica che ci fa attenti all’immediato e al superficiale manca la riflessione che è la strada per raggiungere la saggezza di tutti. (49)  La strada verso la verità è segnata dal dialogo, della conversazione e nella discussione pacata che fa tesoro dell’esperienza degli altri, La saggezza non si costruisce con le ricerche in internet, perché c’è il pericolo di fare un’accozzaglia di informazioni  superficiali orizzontali e cumulative,  Non si acquista così il senso dell’esistenza e la libertà è una illusione. Gli incontri reali con le persone con spirito di fraternità locale e universale sono la strada sicura per la saggezza. (50)

14) Sottomissioni e disprezzo di sé     
Il papa denuncia ancora il fatto che i Paesi sviluppati economicamente vengano considerati come modelli culturali da imporre ai Paesi sotto sviluppati che sono tentati di perdere la stima della propri identità culturale, considerata la causa e la radice di tutti i mali, (51) Far perdere l’autostima è aprire la strada allo strapotere  di altri, è creare una nuova cultura a servizio dei potenti. Alla base di una buona politica ci deve essere la conoscenza e la stima della cultura di un popolo. (52) Non bisogna perdere le proprie radici ed è necessario far crescere relazioni tra i diversi membri, impostare una positiva integrazione tra le generazioni e le comunità. A questo scopo bisogna “rompere le spirali che annebbiano i sensi, allontanandoci gli uni dagli altri”. (53)

15) Speranza
Oltre le dense ombre sopra denunciate il papa vuole dare voce a percorsi di speranza, perché “Dio continua a seminare nell’umanità semi di bene”. Proprio durante la recente pandemia ci sono state persone ordinarie che hanno testimoniato di pensare, servire e amare gli altri: medici, infermieri e infermiere, farmacisti, addetti ai supermercati, personale delle pulizie, badanti, trasportatori, volontari, sacerdoti, religiose… perché nessuno si salva da solo! (54) Ne deriva un invito alla speranza per una vita piena, realizzata, che si confronta con le grandi aspirazioni dell’uomo: la verità, la bontà e la bellezza, la giustizia e l’amore. “La speranza è audace, sa guardare oltre la comodità personale, le piccole sicurezze e compensazioni che restringono l’orizzonte, per aprirsi a grandi ideali che rendono la vita più bella e dignitosa. Camminiamo nella speranza. (55)   
             
Commento Il papa con spirito francescano denuncia i mali /li chiama ombre) che affliggono il mondo attuale. Purtroppo sono andati in frantumi i sogni di costruire una comunità umana più giusta e più pacifica. La politica non riesce a proporre e realizzare  progetti credibili perché condizionata dalla violenza dei poteri economici. Decisa la denuncia dello scarto che emargina ed elimina chi non produce e non è utile ad un consumismo esasperato. Nel mondo si diffondono conflitti che generano paura. Si afferma il mito della globalizzazione ma questo non significa vera fraternità tra gli esseri umani. Si ha l’impressione di essere su una barca sballottata dai marosi ma la faticosa navigazione manca di un rotta. L’esperienza dolorosa  della pandemia da coronavirus ha dato una lezione che ci ha fatto scontrare con i nostri limiti: fragilità delle persone, degli anziani; ma anche crollo dell’economia. Si è fatto drammatico il fenomeno dell’emigrazione che viene ignorato e combattuto dai nazionalismi esasperati che chiudono le frontiere. La stessa comunicazione, che si affida ai media pur con la sua velocità, nasconde il pericolo di una chiusura egoistica sui propri interessi.  Ci si accontenta di una informazione superficiale che  non fa tesoro della saggezza, del dialogo e dell’ascolto. Sul piano internazionale il mito dei Paesi ricchi come modelli culturali provoca l’a disistima dei valori culturali dei popoli più poveri. Dinanzi a questo orizzonte  denso di nubi minacciose, il papa fa appello alla speranza dei cristiani e degli uomini di buona volontà. Durante la pandemia c’è stata una generosa testimonianza di fraternità e di solidarietà da parte di persone (medici, infermieri, farmacisti, sacerdoti, ecc.) che hanno teso una mano ai fratelli in difficoltà. Ed ecco l’invito accorato di papa Francesco: ”Camminiamo nella speranza!”.   

 

 

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