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Pasqua “a porte chiuse”, intervista all’Arciprete Emilio Caputo

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don-emilio


di Rosalba Lasorella

Le porte rimangono chiuse, nel rispetto delle direttive emanate dal Governo per contenere l’emergenza epidemiologica da COVID-19, ma i fedeli e i sacerdoti di Rutigliano si preparano a vivere la Settimana Santa con il cuore aperto alla speranza. A confermarlo è l’Arciprete di Rutigliano don Emilio Caputo, da noi intervistato e ben disposto a diffondere il suo speciale augurio di una Pasqua che sia vera resurrezione per l’intera comunità.

Si avvicina la Santa Pasqua e le disposizioni governative confermano le restrizioni che hanno portato a vivere anche il tempo di Quaresima "a distanza". Chiese vuote, messe in diretta Facebook o Instagram, nessun contatto per quella che è la celebrazione più importante dell'anno liturgico. Quali sono i sentimenti che animano i parroci di Rutigliano in questo momento e come vi siete approcciati a questa nuova modalità "online"?  
«Questa pandemia ha preso tutti di sorpresa. Soprattutto noi, “gente del sud”, così abituata alle relazioni umane “faccia a faccia” ed ora costretta all’isolamento. I sentimenti di noi parroci penso siano gli stessi di tutti quei figli che non possono andare a trovare i genitori anziani; di tutti quei nonni che non possono vedere i genitori; di tutti i giovani che non possono uscire il sabato sera; di tutte le famiglie che non possono incontrarsi per il pranzo domenicale.
Forse una piccola marcia in più è presente in noi sacerdoti. È vero, stiamo celebrando la messa a “porte chiuse”, ma sappiamo che la nostra incessante preghiera al Signore, per “tutto il popolo di Dio”, rimane sempre efficace. È questa la forza presente in ognuno di noi. Quella forza che deriva dalla comunione con il Signore che ci fa sentire ed essere realmente uniti e in comunione con tutti i fedeli, anche se a distanza!».

Tutti, credenti e non, hanno riconosciuto nell'immagine di Papa Francesco solo in Piazza San Pietro, sotto la pioggia, il segno della Storia che ci sta attraversando. Crede che il suo messaggio davvero possa unire credenti e non credenti in una situazione drammatica come questa? L'isolamento a cui siamo costretti può rafforzare o compromettere la fede e la fiducia in Dio, negli altri, nel futuro?  
«Il Papa, scegliendo la pagina del Vangelo della “Tempesta sedata” è stato molto esplicito: “Siamo tutti nella stessa barca”. È la barca agitata dalle onde di questa pandemia che non risparmia nessuno: ricchi o poveri, politici o semplici cittadini, anche medici, infermieri e soccorritori.
Io spero che questo messaggio porti tutti a riflettere su quanto sia inutile e dannoso l’orgoglio dei “primi della classe”. Spero che si appianino le divergenze tra nord e sud (dell’Italia, dell’Europa e del Mondo); tra nazioni industrializzate e nazioni in via di sviluppo. Spero che i politici ripensino al loro ruolo, che è solo ed esclusivamente quello della ricerca del bene comune! E non la ricerca del consenso popolare individuale che scaturisce dal cavalcare i malumori della gente (come qualcuno sta facendo anche in questi giorni pieni di incognite).
Riguardo alla fede, penso che non è una pandemia a farla crescere o diminuire. Per chi ha una fede matura, una pandemia non fa altro che rafforzare il suo senso di servizio, di disponibilità, di aiuto, di soccorso. Perché sa che servendo il bisognoso incontra e serve il Signore».

Quando l'emergenza sarà rientrata, da dove o da cosa -spiritualmente parlando - occorrerà ripartire?  «Innanzitutto, purtroppo, non sappiamo quando ritorneremo alla normalità. Penso che, oltre alle indicazioni che ci verranno fornite dai Vescovi, come è avvenuto fino ad oggi, ogni parrocchia, riunito il Consiglio Pastorale, farà il punto della situazione e programmerà di conseguenza il futuro».

Un augurio pasquale per la comunità rutiglianese
«Il primo augurio è certamente quello che tutti ci aspettiamo: tornare presto ad abbracciarci, a starci vicini; a passeggiare a giocare; a fare quelle belle “mangiate” delle quali le nostre generose famiglie sono maestre.
L’augurio serio è che tutti possiamo aver imparato qualcosa da questa pandemia. Aver imparato che siamo tutti esposti e non ci sono supereroi invulnerabili e, di conseguenza, quanto è importante la collaborazione, la condivisione e il rispetto dell’altro.
Ed infine l’augurio che tutti possano ritornare in chiesa a lodare e ringraziare il Signore per il dono della vita».

 

 

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