A Bari si apre il cantiere della pace mediterranea!

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Sac. Pasquale Pirulli
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Ad iniziativa del card. Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, nei giorni 19-23 febbraio si è tenuto l’incontro di riflessione e spiritualità “Mediterraneo, frontiera di pace” che ha visto impegnati 60 vescovi dei 20 paesi che si affacciano sulle rive del Mare Nostrum. Un programma di incontro, di ascolto, di preghiera e di impegno perché tra i diversi popoli di ben tre continenti (Europa, Africa e Asia) si costruisca la pace anche perché “non ci potrà essere un’Europa in pace, senza pace nel Mediterraneo”. La città di Bari che già  nel luglio 2018 aveva ospitato l’incontro ecumenico tra le chiese cristiane, il primo dopo il deprecabile scisma del lontano 1054, ancora una volta si propone come «ponte verso l’Oriente» ed è salutata da papa Francesco come “capitale dell’unità”. Proprio nell’incontro di Bari si definisce la dottrine della Chiesa cara a Francesco: Chiesa in uscita; Chiesa ospedale da campo; Chiesa a servizio della pace dei popoli!

Domenica 23 febbraio, nella sosta fatta nella città di San Nicola, «vescovo mediterraneo», papa Francesco,  durante l’incontro nella basilica a lui dedicata, dopo aver ascoltato l’introduzione del card. Bassetti e gli interventi del card. Vinko Puljic, presidente della Conferenza Episcopale di Bosnia ed Erzegovina, e di S. E. Mons. Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme,   ha offerto il suo contributo alla riflessione dei vescovi seriamente preoccupati dai tanti problemi che affliggono le popolazioni del Mediterraneo (guerre di Libia e di Siria, crisi migratoria, campi profughi, conflitto tra israeliani e palestinesi, paesi poveri, tra la cultura dell’esclusione e quella dell’inclusione).

Papa Francesco introduce il suo dire mettendo in rapporto le due sue visite alla città di Bari segnate dalla qualifica di «gesti di unità» fatti per «la prima volta»: «quella era la prima volta, dopo il grande scisma, che eravamo tutti insieme; e questa è una prima volta di tutti i vescovi che si affacciano sul Mediterraneo». Egli ha subito accolto l’iniziativa del card. Bassetti perché si tratta di «avviare un processo di ascolto e di confronto, con cui contribuire all’edificazione della pace in questa zona cruciale del mondo». Non si può fare a meno di evidenziare la «vocazione» della città di Bari «per i legami che intrattiene con il Medio Oriente come con il continente africano» e della stessa diocesi di Bari che «da sempre tiene vivo il dialogo ecumenico e interreligioso, adoperandosi instancabilmente a stabilire legami di reciproca stima e di fratellanza». I vescovi si sono riuniti per riflettere «sulla vocazione del Mediterraneo e le sorti del Mediterraneo, sulla trasmissione delle fede e la promozione della pace».  Proprio il Mare nostrum “obbliga i popoli e le culture che vi si affacciano a una costante prossimità… a fare memoria di ciò che li accomuna e a vivere nella concordia”. Proprio il processo di globalizzazione accentua «il ruolo del Mediterraneo, quale crocevia di interessi e vicende significative dal punto di vista sociale, politico, religioso ed economico». Così il Mediterraneo diventa «zona strategica, il cui equilibrio riflette i suoi effetti anche sulle altre parti del mondo».
Il papa ricorda il sogno di Giorgio La Pira, il quale lo definiva “il grande lago di Tiberiade” e stabiliva un’analogia tra la esperienza di Gesù che sulle rive incontrava e dialogava con i diversi popoli e le diverse culture e l’attuale quadro poliedrico che si delinea nel contesto mediterraneo. Si tratta per la Chiesa di mettersi sulle orme di Gesù per offrire il proprio contributo a partire dalla propria fede cristiana.

Nella trasmissione della fede un primo passo è quello di valorizzare il patrimonio di pietà popolare, che a giudizio di San Paolo VI unisce ricchezze e mancanze (cf Evangelii nuntiandi n. 48), e anche l’inestimabile patrimonio artistico «che unisce i contenuti della fede alla ricchezza delle culture, alla bellezza delle opere d’arte». Il secondo passo che si impone alle chiese mediterranee è quello dell’impegno per il bene comune quali instancabili operatori di pace. C’è una decisa denunzia dei «tanti focolai di instabilità e di guerra sia nel Medio Oriente, sia in vari Stati del nord Africa, come pure tra le diverse etnie o gruppi religiosi e confessionali; né possiamo dimenticare il conflitto ancora irrisolto tra israeliani e palestinesi, con il pericolo di soluzione non eque e, quindi, foriere di nuove crisi».

Il papa, sulle orme di San Giovanni XXII autore delle Enciclica “Pacem in terris” che fu il suo testamento di “padre universale”, stigmatizza la follia della guerra «perché è folle distruggere case, ponti, fabbriche, ospedali, uccidere persone  e annientare risorse  anziché costruire relazioni umane ed economiche». Il grido è alto: «E’ una pazzia alla quale non ci possiamo rassegnare: ma la guerra potrà esser scambiata per normalità o accettata come via ineluttabile per regolare divergenze e interessi contrapposti. Mai». Il quadro della guerra è desolazione: «La guerra appare così come il fallimento di ogni progetto umano e divino: basta visitare il paesaggio o una città, teatri di un conflitto, per accorgersi come, a causa dell’dio, il giardino si trasformi in una terra desolata e inospitale e il paradiso terrestre in un inferno».
La pace si costruire sul presupposto della giustizia, che è ostacolata quando non si rispettano le esigenze delle persone e gli interessi economici sono messi al primo posto. La giustizia è ostacolata anche dalla «cultura dello scarto» per cui le persone sono ridotte a cose, si accrescono le disuguaglianze e così «sulle sponde dello stesso mare vivono società dell’abbondanza e altre in cui molti lottano per la sopravvivenza».

Le chiese sono impegnate a contrastare questa cultura con le tante opere di carità, di educazione e di formazione,  promosse dal volontariato che è una ricchezza della pastorale italiana. Attraverso la carità «il Vangelo acquista nuova forza di attrazione» e bisogna perseguire il «bene comune» che diventa anche un altro nome della pace. Qui ritorna la lezione di Giorgio La Pira il quale proponeva il principio di lasciarsi guidare dalle «attese della povera gente». Si tratta così di operare una svolta antropologica radicale che «rende tutti più umani». La Chiesa fa la scelta degli ultimi con l’attenzione alle membra più deboli in un spirito di viva partecipazione: «se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme» (1 Cor 12,26).

L’attenzione è rivolta al fenomeno delle migrazioni che, incrementato dal proliferare dei conflitti, segna la regione mediterranea. Non bisogna trovarsi impreparati: «Sono interessati i Paesi attraversati dai flussi migratori e quelli di destinazione finale, ma lo sono anche i Governi e le Chiese degli Stati di provenienza dei migranti, che con la partenza di tanti giovani vedono depauperarsi il loro futuro». Si devono rifiutare l’indifferenza, il rifiuto, la paura «che porta ad alzare le proprie difese davanti a quella che viene strumentalmente dipinta come un’invasione». Si invoca anche la «retorica dello scontro di civiltà» a giustificare  violenza ed odio. Le responsabilità della politica sono gravi: «L’inadempienza o, comunque, la debolezza della politica e il settarismo sono cause di radicalismi e terrorismo. La comunità internazionale si è fermata agli interventi militari, mentre dovrebbe costruire  istituzioni che garantiscano uguali opportunità e luoghi  nei quali i cittadini abbiano la possibilità di farsi carico del bene comune».

Non poteva mancare una vibrante protesta di papa Francesco contro la persecuzione delle comunità cristiane: «Alziamo la voce per chiedere ai Governi la tutela delle minoranze e della libertà religiosa. La persecuzione di cui sono vittime soprattutto – ma non solo – le comunità cristiane è una ferita che lacera il nostro cuore e non ci può lasciare indifferenti». E altrettanto forte è la denunzia della morte in mare o dello sfruttamento dei migranti: «Nel contempo non accettiamo mai che chi cerca speranza per mare muoia senza ricevere soccorso o che chi giunge da lontano diventi vittima di sfruttamento sessuale, sia sottopagato o assoldato dalle mafie». Nei confronti dei migranti il papa auspica che ci sia l’accoglienza e la dignitosa integrazione, e dichiara di aver paura per i discorsi di alcuni leader delle nove forme di populismo. Non si devono innalzare muri ma costruire ponti per realizzare il desiderio di comunione che avvia il processo di unificazione della famiglia umana. Egli ricorda l’omaggio ricevuto da un artista torinese che gli ha fatto omaggio di una singolare rappresentazione della fuga in Egitto «c’era un San Giuseppe con l’atteggiamento di un rifugiato siriano, col bambino sulle spalle: fa vedere il dolore, senza addolcire il dramma di Gesù Bambino quando dovette fuggire in Egitto».  

Nella sua riflessione il papa recupera la definizione del Mediterraneo come «il mare del meticciato: culturalmente sempre aperto all’incontro, al dialogo e alla reciproca inculturazione» e sintetizza il dialogo con la convivialità, che apre la strada all’accoglienza «non superficiale, ma sincera e benevola, praticata da tutti e a tutti i livelli, sul piano quotidiano delle relazioni interpersonali come su quello politico e istituzionale, e promossa da chi8 fa cultura e ha una responsabilità più forte nei confronti dell’opinione pubblica». Egli scopre nel dialogo non solo un valore antropologico ma anche «teologico» e si augura che si elabori una «teologia dell’accoglienza e del dialogo». A questo impegno sono chiamate tutte le religioni che si affacciano sulle rive del Mediterraneo perché devono rispettarsi vicendevolmente ed essere animate da un desiderio sincero di pace. C’è il riferimento al Documento sulla fratellanza, firmato ad Abu Dhabi, perché bisogna superare la distorta logica del contrasto con chi non condivide il nostro credo in quanto «i veri insegnamento delle religioni invitano a restare ancorati ai valori della pace; a sostenere i valori della reciproca conoscenza, della fratellanza umana e della convivenza umana».  Si tratta di «promuovere una più attiva collaborazione tra i gruppi religiosi e le diverse comunità». Egli si dice convinto che: «Quanti 9insiem si sporcano le mani per costruire la pace e pratica l’accoglienza, non potranno più combattersi per motivi di fede, ma percorreranno le vie del confronto rispettoso, della solidarietà reciproca, della ricerca dell’unità». Alla fine il papa affida tutti i vescovi presenti all’incontro all’intercessione dell’apostolo Paolo “che per primo ha solcato il Mediterraneo, affrontando pericoli e avversità di ogni genere per portare a tutti il Vangelo di Cristo”  ripetendo  le parole di speranza del profeta Isaia che augura per Gerusalemme un futuro di pace e prosperità: «Ricostruiranno le vecchie rovine, rialzeranno gli antichi ruderi, restaureranno le città desolate, devastate da più generazioni» (Is 61,4) Egli traccia le grandi linee della futura opera della Chiesa nel contesto mar Mediterraneo: «ricostruire i legami che sono stati interrotti, rialzare le città distrutte dalla violenza, fari fiorire un giardino laddove oggi ci sono terreni riarsi, infondere speranza a chi l’ha perduta ed esortare chi è chiuso in sé stesso a non temere il fratello. E guardare questo, che è già diventato un cimitero, come un luogo di futura risurrezione di tutta l’area. Il Signore accompagni i vostri passi e benedica la vostra opera di riconciliazione e di pace».

Nell’Omelia della S. Messa celebrata in corso Vittorio Emanuele II (P.za della libertà) papa Francesco commenta il la liturgia della Parola e insiste che Gesù rifiuta ogni forma di violenza perché egli guardando all’amore infinito del Padre, «ha aperto le braccia sulla croce e ha perdonato chi gli ha messo i chiodi nei polsi» (cf Lc 23,33-34). Con chiarezza Gesù interpreta la legge antica affermando: «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano». Oltre ogni prudenza umana Gesù chiede ai suoi l’estremismo della carità. Bisogna combattere la cultura dell’odio e quella del facile lamento. Proprio nell’amore e nel perdono sta la sapienza di Dio che è giudicata stoltezza dal mondo. Gesù con il suo comando dell’amore senza limiti «alza l’asticella della nostra umanità» e il papa ci ricorda che «alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore» (S. Giovanni della Croce, Parole di luce e di amore, 57). Si può concludere che da Bari la Chiesa propone ai popoli del Mediterraneo due sfide: quella della pace e quella carità per far sì che il mondo sia sempre più umano.

Nella breve riflessione alla preghiera dell’Angelus papa Francesco, dopo aver ricordato la immane tragedia della Siria,  ha invitato tutti a «superare la logica dello scontro, dell’odio e della vendetta per riscoprirsi fratelli» e a impegnarsi a «costruire relazioni nuove, ispirate alla comprensione, all’accoglienza, alla pazienza». Egli ha ringraziato tutti i partecipanti all’incontro sul Mediterraneo come frontiera di pace: «Avete contribuito a far crescere la cultura dell’incontro e del dialogo in questa regione così importante per la pace nel mondo».
Così  con questi tre interventi ai vescovi e ai fedeli papa Francesco a Bari ha aperto il cantiere della Chiesa per la pace nel Mediterraneo.

 

 

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