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Fiera del Fischietto 2020, tanta “Josa” e tanto amore

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Frakasso Blog e Room 70018
presentano “Promessa d’Amore” di Vito Moccia

di Teresa Gallone

Non c’è festa di Sant’Antonio Abate senza un po’ di “josa” a Rutigliano. Il calore della terracotta, il clamore della Fiera e il suono dei fischietti ogni 17 gennaio sono tradizione e “promessa” di amore la-josa-primo-appunt -1rinnovato per ogni rutiglianese.

Ed è proprio l’amore ad animare il primo appuntamento de “La Josa 2020 – Arte e Musica”, ciclo di «eventi innovativi e progetti folgoranti» giunto alla seconda edizione e curato da Frakasso Blog e Room 70018.
Condotto dal giornalista Gianluca Giugno con la collaborazione di Maria Luisa Pasqualicchio, l’evento di apertura del 15 gennaio scorso tocca un tasto impossibile da non sfiorare quando è al centro della riflessione una tradizione radicata: l’abitudine e l’oblio.

Qui entra in gioco la promessa, il giuramento di sottrarre dalla passività una tradizione che non è solo di chi ci ha prla-josa-primo-appunt -2eceduto ma che va ripresa «a gran voce da una generazione che la reclama come anche sua, con un piede nel passato e uno nell’innovazione».

Il passato si intreccia con il presente e guarda verso il futuro nell’intervento di Maria Luisa Pasqualicchio, autrice del monologo di apertura e mano che ha guidato la platea in un percorso di scoperta delle origini storico antropologiche del fischietto in terracotta e più precisamente del gallo, simbolo indiscusso della Fiera. Passione, amore, dubbi e promesse legano a doppio filo un’immagine che è «veicolo polivalente di tanti valori» e che ha attraversato tre grandi fasi storiche, il periodo pre cristiano, quello cristiano e quello laico, sempre mantenendo la sua valenza simbolica di buon auspicio, promessa di prosperità e di amore eterno.
La “josa” dell’amore dichiarato e promesso durante la festa di Sant’Antonio si fa clamore nell’opera di Vito Moccia, “Promessa d’Amore”, scoperta in esclusiva durante la serata. Una «tela caotica, con un’allegria di movimento disordinato, un caos che è rivoluzionario», una dichiarazione d’amore alla identità originale, alle radici individuali e al proprio paese.

Sullo sfondo allegro e caotico della Festa di Sant’Antonio Abate, Vito Moccia decide di fissare il momento topico del dono del gallo, promessa di amore eterno e di far scaturire da quel simbolo carico di significato una serie di volti che sono essi stessi amore, malinconia, esempio e promessa di ritorno: Andrea Camilleri, «l’Omero che ha cantato l’identità meridionale», Mario Monicelli in tutto il suo acume e curiosità, Federico Fellini, Peppino Didonna «figulo naïf che giocava con le forme e i colori», Gianni Capotorto «simbolo e omaggio a tutti coloro che si impegnano per la conoscenza del nostro territorio» e tanti altri, sino al volto bambino dell’artista che guarda la Fiera e che nella gioia di farne parte attiva non invecchia mai.

 

 

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