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La vita e la sua fine sono valori da promuovere e difendere e non solo da…«Consultare»!

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Sac. Pasquale Pirulli
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Il titolo un po’ goliardico e provocatorio di questa nota intende introdurre la corretta informazione su quanto avvenuto negli ultimi giorni a proposito di questi essenziali valori umani di grande impatto sociale, portati in prima pagina da una “affrettata e sbrigativa” sentenza della Consulta.

Finalmente la Consulta della Suprema Corte Costituzionale, su richiesta della Corte di Assise di Milano, che stava processando Marco Cappato leader del partito Radicale
e attivista dell’associazione Luca Coscioni, coinvolto attivamente nel suicidio di Fabiano Antoniani (dj Fabo) , “ha ritenuto non punibile chi agevola l’esecuzione del proposto di suicidio autonomamente e liberamente formatosi di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. La stessa Suprema Corte, in attesa di un testo legislativo sull’assistenza al fine vita, che purtroppo il Parlamento non ha prodotto durante un intero anno, ha condizionato la sentenza di non punibilità “al rispetto delle modalità previste della normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua (articoli 1 e 2 della legge 219/2017) ed alla verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del SSN, sentito il parere del comitato etico territoriale competente”. La Consulta decide che “l’individuazione di queste specifiche con dizioni e modalità procedimentali, desunte da nome già presenti nell’ordinamento, si è resa necessaria per evitare rischi di abuso nei confronti di persone specialmente vulnerabili, come già aveva sottolineato nella precedente ordinanza n. 207 del 2018. Rispetto alla condotte già realizzate, il giudice valuterà la sussistenza di condizioni sostanzialmente equivalenti a quelle indicate”.

Su questa sentenza della Consulta che riguarda il problema drammatico del fine vita si sono alzate le grida di vittoria del fronte attestato su posizioni favorevoli all’eutanasia: l’imputato Marco Cappato, sfuggito alla pena del carcere (5-12 anni), la compagna del defunto Dj Fabo e la vedova di Piergiorgio Welby. Ancora una volta Marco Cappato ha giustificato il suo gesto, nell’accusa precedente “omicida”,: “Ho aiutato Fabiano perché l’ho ritenuto un mio dovere morale”(!???). La senatrice del PD Monica Cirinnà  ha commentato la “storica” sentenza con queste parole: “Con la storica decisione di oggi la Corte Costituzionale fa ulteriore chiarezza depenalizzando, alle condizioni previste, l’aiuto al suicidio, dalla Corte si leva una parola chiara in favore della libertà di scegliere e della protezione della dignità personale”.

A suo tempo papa Francesco aveva ammonito: “Si può e si deve respingere la tentazione - indotta anche da mutamenti legislativi – di usare la medicina per assecondare una possibile volontà di morte del malato, fornendo assistenza al suicidio o causandone direttamente con l’eutanasia”.

È questo un saggio richiamo al giuramento di Ippocrate, che norma il comportamento del medico che si ritiene sempre a servizio della vita specialmente quando affronta il dolore e il pericolo della morte. Il prorettore dell’Università Europea di Roma Prof. Alberto Gambino, anche presidente di Scienza & Vita, ha commentato con amarezza: “La Corte ha ceduto ad una visione utilitaristica della vita umana, ribaltando l’articolo 2 della nostra Carta, che pone al centro la persona umana e non la sua mera volontà!”. Il Dott. Filippo Anelli, presidente della Federazione Nazionale degli ordini medici chirurghi e degli odontoiatrici (Fnomceo), ha espresso le difficoltà dei medici di cui molti si attesteranno sulla obiezione di coscienza: “Quello che chiediamo ora al Legislatore è che chi dovesse essere chiamato ad avviare formalmente la procedura del suicidio assistito, essendone  responsabile, sia un pubblico ufficiale dello Stato, e non un medico”.

C’è il timore che aperta oggi la saracinesca del suicidio assistito ci sia domani lo tsunami della pratica dell’eutanasia. La senatrice Paola Binetti, medico e docente universitario, esprime la sua decisa perplessità nei confronti di questa decisione della Consulta: “In Italia oggi è possibile uccidere una persona e anche se la norma della Corte costituzionale fa riferimento alla consapevolezza del paziente, noi abbiamo davanti agi occhi quello che succede nei paesi che hanno aperto all’eutanasia, per cui possiamo prevedere che questa stessa norma verrà aggirata… Il rischio è che una narrazione molto giocata sui casi pietosi, che meritano tutta la nostra sensibilità, diverrà una prassi che servirà a inaugurare un’epoca in cui sarà possibile aggirare i criteri dettati dalla Corte. Anche perché quando si parla di malati inguaribili, si può fare riferimento a tante malattie diverse, ad esempio a pazienti con malattie degenerative, a situazioni in cui il dolore viene percepito come insopportabile… Insomma diventerà molto facile l’accesso al suicidio. Si tratta di una brutta pagina. Non a caso, oggi, prima che uscisse la sentenza, l’ordine dei medici aveva chiesto che non ricadesse sui medici la responsabilità del fine vita. perché i medici considerano la morte un rivale da abbattere, non un alleato. Si stravolge così totalmente il senso profondo dell’agire medico”.  

Dopo il parere medico ecco quello giuridico espresso dal Centro studi Livatino: “La decisione di oggi della Corte costituzionale non dichiara illegittimo l’articolo 580 del codice penale, ma demanda al giudice del singolo caso stabilire se sussistono le condizioni per la non punibilità; cioè investe il giudice del potere di stabilire in concreto quando togliere la vita a una persona sia sanzionato, oppure no. Inoltre fa crescere confusione e arbitrio, ricordando che deve essere rispettata la normativa su consenso informato e cure palliative: ma come, se la legge sulle cure palliative non è mai stata  finanziata e non esistono reparti a ciò attrezzati? Poi così si medicalizza il suicidio assistito, scaricando una decisione così impegnativa sul Servizio Sanitario Nazionale, senza menzionare l’obiezione di coscienza, di cui pure aveva parlato nell’ordinanza 207. Infine se la Consulta ritiene l’intervento del legislatore “indispensabile”, allora perché essa stessa lo ha anticipato come Consulta? Quel che si ricava dalla nota è confusione, incoerenza e arbitrio. Saranno sufficienti a svegliare un Parlamento colpevole di aver fatto trascorrere il tempo su un tema così cruciale?”.

In una reazione a caldo il segretario della Conferenza Episcopale Italiana S. Ecc. Mons. Stefano Russo  ha detto: “Non comprendo come si possa parlare di libertà, qui si creano i presupposti per una cultura della morte in cui la società perde il lume della ragione… Il medico esiste per curare le vite, non per interromperle. È  chiaro che chiediamo per i medici l’obiezione di coscienza”.

Al termine dei lavori del Consiglio permanente della C.E.I. “i vescovi hanno unito la loro voce a quella di tante associazioni laicali nell’esprimere la preoccupazione a fronte di scelte destinate a provocare profonde conseguenze sul piano culturale e sociale. Consapevoli di quanto il tema si presti a strumentalizzazioni ideologiche, si sono messi in ascolto delle paure che lacerano le persone davanti alla realtà di una malattia grave e della sofferenza. I vescovi hanno riaffermato il rifiuto dell’accanimento terapeutico, riconoscendo che l’intervento medico non può prescindere da una valutazione delle ragionevoli speranze di guarigione e della giusta proporzionalità delle cure… Alla Chiesa sta a cuore la dignità della persona, per cui i pastori non si sono soffermati soltanto sulla negazione del diritto al suicidio, ma hanno rilanciato l’impegno a continuare e a rafforzare l’attenzione e la presenza nei confronti dei malati terminali e dei loro familiari. Tale prossimità, mentre contrata la solitudine e l’abbandono, promuove una sensibilizzazione sul valore della vita come dono e responsabilità; cura l’educazione e la formazione di quanti operano in strutture sanitarie di ispirazione cristiana; rivendica la possibilità di esercitare l’obiezione di coscienza, rispetto a chi chiedesse di esser aiutato a morire; sostiene il senso della professione medica, alla quale è affidato il compito di servire la vita”.

Con questa nota ho inteso soltanto fare opera di informazione e mi auguro che i lettori siano incoraggiati a una sosta di riflessione che sia attenzione al grande valore della vita  che è dato ad ogni persona umana che nella sua libertà e dignità lo vive per tutta la durata della sua esistenza. Quello della vita non è un valore da trattare con parametri economicisti (quanto mi rende? quanto mi costa?) o sulla scorta di ideologie politiche (destra o sinistra), ma è un valore fondativo e costitutivo della persona che la società deve accogliere, promuovere e difendere con leggi equilibrate e chiare senza perdere tempo in schermaglie diplomatiche che non risolvono i problemi che attengono  alla dignità personale dei cittadini e che hanno gravi ricadute sociali nel campo della cura e dell’assistenza sanitaria.

 

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