La politica della Santa Sede

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sac. Pasquale Pirulli
don pasquale foto
Il tradizionale scambio di auguri per l’inizio del nuovo anno con i membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede permette a papa Francesco di tracciare un quadro dell’attività della Chiesa nei suoi rapporti con il mondo. L’incontro si è svolto il 7 gennaio 2019 nella sala Regia ed è stato il momento opportuno per alcune considerazioni. Inizialmente nel saluto ai presenti si esprime un apprezzamento per “l’opera che quotidianamente prestate  nel consolidare le relazioni fra i vostri rispettivi Paesi e Organizzazioni, ulteriormente rafforzate dalla sottoscrizione o ratifica di intese”.

Il papa ne ricorda alcune di grande valore strategico: L’accordo quadro tra la Santa Sede e la Repubblica del Benin sullo Stato Giuridico della Chiesa Cattolica nel Benin; l’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica di San Marino per l’Insegnamento della Religione cattolica nelle scuole pubbliche; la Convenzione Regionale dell’UNESCO sul riconoscimento delle qualifiche dell’insegnamento superiore in Asia e nel Pacifico; l’Accordo Parziale allargato agli Itinerari Culturali del Consiglio d’Europa, perché “la cultura è a servizio della pace e sia fattore unificante delle diverse società europee per accrescere la concordia fra i popoli”. E’ positivo il fatto che dal 30 novembre 2018 lo Stato Città del Vaticano è ammesso all’Aerea Unica per i pagamenti in euro (SEPA).
Nella fedeltà alla missione spirituale propria della Santa Sede che ricorda il mandato di Cristo “Pasci i miei agnelli “ (Gv 21.15, la Santa Sede, cioè papa Francesco in prima persona,  si preoccupa delle necessità d’ordine materiale e sociale.

Ecco la linea fondamentale della politica vaticana: “Non intende ingerire nella vita degli Stati, bensì ambisce ad essere un ascoltatore attento e sensibile alle problematiche che interessano l’umanità, con il sincero e umile desiderio di porsi al servizio del bene di ogni essere umano”. E’ vero che gli incontri con i pellegrini, i viaggi apostolici (in Cile, Perù, Svizzera, Irlanda, Lituania, Lettonia ed Estonia” gli hanno permesso di conoscere la situazione della Chiesa e dei Paesi visitati. Egli esprime preoccupazione per la situazione del Nicaragua e suggerisce la strada del dialogo tra le parti. Ci sono le relazioni tra la Santa Sede e il Vietnam e si auspica che si giunga alla nomina di un Rappresentante Pontificio residente. C’è l’Accordo provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese sulla nomina dei Vescovi, firmato il 22 settembre 2018 e ci si rallegra per l’ammissione dei vescovi ordinati senza il mandato apostolico alla piena comunione. Un passo positivo è stata la presenza di due vescovi cinesi al recente Sinodo per i giovani.

Prendendo spunto dalla ricorrenza del centenario della fondazione della Società delle Nazioni con il trattato di Versailles (28 giugno 1919) che poi ha dato origine nel 1945 all’Organizzazione delle Nazioni Unite, il papa insiste sugli aspetti positivi di una “diplomazia multilaterale”. Ne deriva una critica alle tendenze nazionalistiche  che interferiscono nell’azione delle Organizzazioni internazionali e ne intralciano la loro identità di “spazio di dialogo e d’incontro di tutti i Paesi”.

C’è una puntuale riflessione sulla “globalizzazione” che non deve mortificare la dimensione locale. Papa Francesco introduce una distinzione importante. C’è la “Globalizzazione sferica” che livella le differenze e nella quale le particolarità sembrano scomparire, ed è facile che riemergano i nazionalismi, mentre la stessa globalizzazione può essere anche un’opportunità nl momento in cui essa è “poliedrica”, ovvero favorisce una tensione positiva fra l’identità di ciascun paese e la globalizzazione stessa, secondo il principio che il tutto è superiore alla parte”.
Papa Francesco sulle orme di San Paolo VI che nel suo discorso all’Assemblea delle Nazioni Unite nella sede di New York il 4 ottobre 1965 proponeva le linee di una “diplomazia multilaterale” sottolinea alcune problematiche attuali.

Prima di tutto il primato della giustizia e del diritto. Il papa Paolo VI aveva detto: “Voi sancite il grande principio che i rapporti fra i popoli devono essere regolati dalla ragione, dalla giustizia, dal diritto, dalla trattativa, non dalla forza, non dalla violenza, non dalla guerra e nemmeno dalla paura, né dall’inganno”.  E’ il richiamo alla “buona politica che è al servizio della pace” quando persegue il bene comune, “perché bene di tutti gli uomini e di tutto l’uomo” e “permette a ciascuna persona e all’intera comunità di raggiungere il proprio benessere materiale e spirituale”, così come ha ricordato lo stesso papa Francesco nel suo messaggio per la 52° Giornata Mondiale per la Pace. 

“Alla politica è richiesto di essere lungimirante, di non limitarsi a cercare soluzioni di corto respiro. Il buon politico non deve occupare spazi, ma avviare processi, egli è chiamato a far prevalere l’unità sul conflitto, alla cui base vi è «la solidarietà, intesa nel suo significato più profondo e di sfida». Essa «diventa così uno stile di costruzione della storia, un ambito vitale dove i conflitti, le tensioni e gli opposti possono raggiungere una pluriforme unità che genera nuova vita» (Esort. Evangelii Gaudiumn n. 228). Nel ricordo del 70° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo il papa insiste sulla dimensione originaria del diritti della persona: “Tale consdierazione tiene conto della dimensione trascendete della persona umana, creta ad immagine e somiglianza di Dio. Il rispetto, dunque, della dignità di ogni esser umano è la premessa indispensabile per ogni convivenza realmente pacifica, e il diritto costituisce lo strumento essenziale per il conseguimento della giustizia sociale e per alimentare vincoli fraterni fra i popoli”.

Al secondo punto il papa pone la difesa dei più deboli. Papa Paolo VI nel suo discorso all’ONU diceva: “Noi facciamo Nostra la voce dei poveri, dei diseredati, dei sofferenti, degli anelanti alla giustizia, alla dignità della vita, alla libertà, al benessere e al progresso”. Ecco la giustificazione dell’azione costante della Santa Sede a sostegno dei più deboli e qui il papa ricorda  “l’iniziativa umanitaria  in Ucraina a favore della popolazione sofferente soprattutto nelle regioni orientali, vittime  della guerra” che dura da cinque anni. Un sguardo preoccupato alla guerra in Siria che ha provocato un immenso numero di morti. Si tratta di venire incontro ai bisogni umanitari delle popolazioni coinvolte e dei prigionieri. La comunità internazionale si deve attivare “per una soluzione politica ad un conflitto che alla fine vedrà solo sconfitti. Soprattutto è fondamentale che cessino le violazioni dei diritto umanitario, che provocano indicibili sofferenze alla popolazioni civile, specialmente donne e bambini, e colpiscono strutture essenziali come gli ospedali, le scuole e i campi-profughi, nonché gli edifici religiosi”.  Una parola di plauso alla politica di accoglienza verso i profughi messa in atto da Giordania e Libano ma si auspica che al più preso i rifugiati “possano fare rientro in patria, in condizioni di vita e di scurezza adeguate”.

La situazione di instabilità del Medio Oriente colpisce in modo particolare ”i cristiani, che abitano quelle terre dai tempi degli Apostoli e che nei secoli hanno contribuito a edificarle e forgiarle. E’ oltremodo importante che i cristiani abbiano un posto nel futuro della regione, e dunque incoraggio quanti hanno cercato rifugio in altri luoghi di fare il possibile per ritornare  alle loro case e comunque a mantenere e a rinsaldare i legami con le comunità d’origine. In pari tempo, auspico che le autorità politiche non manchino  di garantire loro la necessaria sicurezza e tutti gli altri requisiti che permettano ad essi di continuare a vivere nei Paesi di cui sono cittadini a pieno titolo e contribuire alla loro costruzione”.  

Analizzando la situazione della Siria e del Medio Oriente il papa parla di “teatro di scontro di molteplici interessi contrapposti” in cui si confrontano interessi di natura politica e militare ma anche “inimicizia fra musulmani e cristiani”. A questo proposito in prospettiva del prossimo viaggio in Marocco e negli Emirati Arabi  papa Francesco precisa e auspica: “Si tratterà di due importanti opportunità per sviluppare ulteriormente il dialogo interreligioso e la reciproca conoscenza fra i fedeli di entrambe le religioni, nell’ottavo centenario dello storico incontro tra san Francesco d’Assisi e il sultano Al Malik al-Kamil.

Tra i deboli del nostro tempo ci sono i rifugiati e i migranti. Le cause sono individuate nel flagello della povertà, nella violenza e nella persecuzione e anche nelle catastrofi naturali e negli sconvolgimenti climatici e il papa auspica che si promuova la loro integrazione sociale nei paesi che li accolgono. Papa Francesco insiste sulla sua linea di accoglienza: “Occorre che ci si adoperi perché le persone non siano costrette ad abbandonare la propria famiglia e nazione, o possano farvi ritorno in sicurezza e nel pieno rispetto della loro dignità e dei loro diritti umani. Ogni esser umano anela a una vita migliore e più felice e non si può risolvere la sfida della migrazione con la logica della violenza e dellos cartio, né con soluzioni parziali”. Una parola di approvazione all’accoglienza realizzata dalla Colombia nei confronti delle persone provenienti dal Venezuela sconvolto. Non si nasconde papa Francesco il fatto che “le ondate migratorie di questi anni hanno causato diffidenza e preoccupazioni tra la popolazione di molti Paesi, specialmente in Europa e nel Nord America, e ciò ha spinto molti governi a limitare fortemente i flussi in entrata, anche se in transito.”

La migrazione è un fenomeno universale e non si possono dare soluzioni parziali. “Le recenti emergenze hanno mostrato che è necessaria una risposta comune, concertata da tutti i Paesi, senza preclusioni e nel rispetto di ogni legittima istanza, sia degli Stati, si dei migranti e dei rifugiati”. Papa Francesco approva la proposta fatta alla recente Conferenza delle Nazioni Unite di due Global Compacts sui Rifugiati e sulla Migrazione sicura, ma bisogna prima di tutto «rispettare la vita e i diritti delle persone».

Tra i deboli ci sono i giovani e  Paolo VI continuava: “Sentiamo di far nostra la voce dei giovani delle presenti generazioni, che sognano a buon diritto una migliore umanità”. Il papa ricorda che la Chiesa recentemente ha rivolto la sua attenzione durante la XV Assemblea Generale Ordinaria dei Sinodo dei Vescovi e prossimamente a Panama ci sarà la XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù. “I giovani sono il futuro, e compito della politica è aprire le strade del futuro. Per questo è quanto mai necessario investire in iniziative che permettano alle prossime generazioni di costruirsi un avvenire, avendo la possibilità di trovare lavoro, formare una famiglia e crescere dei figli”.

Il ricordo del 30° anniversario della Convenzione sui Diritti del Fanciullo suggerisce al papa di alzare la voce in favore dei piccoli e denunziare gli abusi di cui essi sono vittime: “Si tratta di un’occasione propizia per una seria riflessione sui pasi compiuti per vigilare sul bene dei nostri piccoli e sul loro sviluppo sociale e intellettuale, come pure sulla loro crescita fisica, psichica e spirituale. In questa circostanza non posso tacere una delle piaghe del nostro tempo, che purtroppo ha visto protagonisti anche di versi membri del clero. Gli abusi contro i minori costituiscono uno dei crimini più vili e nefasti possibili. Essi spazzano via inesorabilmente il meglio di ciò che la vita umana riserva a un innocente, arrecando danni irreparabili per il resto dell’esistenza.

La Santa Sede e la Chiesa tutta intera si stanno impegnando per combattere e prevenire tali delitti e il loro occultamento, per accertare la verità dei fatti  in cui sono coinvolti ecclesiastici e per rendere giustizia ai minori che hanno subìto violenze sessuali, aggravati da abusi di poter e di coscienza. L’incontro che avrò con gli episcopati di tutto il mondo nel prossimo febbraio intende esser un ulteriore passo nel cammino della Chiesa per fare piena luce sui fatti e lenire le ferite causate da tali delitti.

Non poteva mancare una parola sui comportamenti violenti nei confronti delle donne, cui il papa Giovanni Paolo II trenta anni fa dedicava la sua lettera apostolica “Mulieris dignitatem”: “Davanti alla piaga degli abusi fisici e psicologici sulle donne, c’è l’urgenza  di riscoprire forme di relazioni giuste ed equilibrate, basate sul rispetto e sul riconoscimento reciproci, nelle quali ciascuno possa esprimere in modo autentico la propria identità, mentre la promozione di talune forme di indifferenziazione rischia di snaturare lo stesso essere uomo o donna”.

Un ricordo al centenario della Organizzazione Internazionale del Lavoro ente che opera per la dignità dei lavoratori e un richiamo ad eliminare le piaghe del lavoro minorile e delle nuove forme di schiavitù, della diminuzione del valore delle retribuzioni, la discriminazione delle donne nel mondo del lavoro.
Ai diplomatici accreditati presso la Santa Sede papa Francesco ricorda anche l’impegno ad “esser ponte tra i popoli e costruttori della pace” con le parole di Paolo VI alle Nazioni Unite: “Voi esistete ed operate per unire le Nazioni, per collegare gli Stati (…)per metter insieme gli uni con gli altri. Siete un ponte fra i Popoli… Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell’intera umanità. (…) E voi sapete che la pace non si costruisce soltanto con la politica e con l’equilibrio delle forze e degli interessi, ma con lo spirito, con le idee, con le opere della pace”. Tra i segnali recenti di pace il papa ricorda l’Accordo tra Etiopia ed Eritrea, l’intesa raggiunta tra i leader del Sud Sudan, ma si dice preoccupato dalla situazione di insicurezza della Repubblica Democratica del Congo e denuncia la violenza fondamentalista in Mali, Niger e Nigeria e le tensioni presenti nel Camerun. Papa Francesco constata che l’Africa, al di là di diverse drammatiche vicende, rivela un potenziale dinamismo positivo, radicato nella sua antica cultura e tradizionale accoglienza”. Non manca uno sguardo di speranza per la penisola coreana e per il Venezuela che è afflitto da una grave crisi politica e per il quale auspica “un orizzonte di speranza e di pace”.  

Una particolare attenzione papa Francesco rivolge alla Terra Santa: “La Santa Sede auspica pure che possa riprendere il dialogo fra Israeliani e Palestinesi, così che si riesca finalmente a raggiungere un’intesa e a dare risposta alle legittime aspirazioni di entrambi i popoli, garantendo la convivenza di due Stati e il conseguimento di una pace lungamente attesa e desiderata. L’impegno concorde alla comunità internazionale è quanto mai prezioso e necessario per conseguire un tale obiettivo, come pure per favorire la pace nell’intera regione, particolarmente dello Yemen e dell’Iraq, e permettere nel medesimo tempo di recare i necessari aiuti umanitari alle popolazioni bisognose”.

Sulle orme  della «politica multilaterale»  tracciate da Paolo VI  bisogna ripensare il comune destino dell’umanità e quindi affrontare il problema della proliferazione delle armi nucleari perché il disarmo nucleare pare segnare il passo e “le relazioni internazionali non possono essere dominate dalla forza militare, dalle intimidazioni reciproche, dall’ostentazione degli arsenali bellici”.   Bisogna ripensare anche il rapporto con il pianeta e quindi accordarsi sulla cura dell’ambiente e il cambiamento climatico e poi anche affrontare  e risolvere il fenomeno del riscaldamento globale. La questione ambientale e le ricadute dello sfruttamento di alcune regioni della terra (per es. L’Amazzonia) esigono la collaborazione di tutti,
Nel ricordo della caduta del Muro di Berlino (9 novembre 1989) il papa riflette: “Nel contesto attuale, in cui prevalgono nuove spinte centrifughe e la tentazione di erigere nuove cortine, non si perda in Europa la consapevolezza dei benefici – primo fra tutti la pace – apportati dal cammino di amicizia e avvicinamento tra i popoli intrapreso nel secondo dopo guerra”.  

L’ampia disamina della situazione mondiale, condotta sulle orme del discorso di Paolo VI all’ONU e delle diverse ricorrenze centenarie, si conclude con uno sguardo all’Italia di cui si ricorda la storia dell’ultimo secolo: “L’11 febbraio di novant’anni fa nasceva lo Stato della Città del Vaticano, in seguito alla firma dei Patti Lateranensi fra la Santa Sede e l’Italia. Si chiudeva così il lungo periodo della “questione romana” seguito alla presa di Roma e alla fine dello Stato Pontificio. Con il Trattato Lateranense la Santa Sede poteva disporre  di «quel tanto di territorio materiale che è indispensabile per l’esercizio di un potere spirituale affidato ad uomini in beneficio di uomini», come ebbe ad affermare Pio XI, e con il Concordato la Chiesa poté nuovamente contribuire  appieno alla crescita spirituale e materiale di Roma e di tutta l’Italia, una terra ricca di storia, di arte e di cultura, che il cristianesimo ha contribuito a forgiare. In questa ricorrenza, assicuro al popolo italiano una speciale preghiera affinché, nella fedeltà alle proprie tradizioni, mantenga vivo quello spirito di fraterna solidarietà che lo ha lungamente contraddistinto”.

Un cordiale augurio chiude l’impegnativo discorso: “Che il nuovo anno consenta di rafforzare i vincoli di amicizia che ci legano e di adoperarci per edificare la pace a cui il mondo aspira”.
                           

Foto tratta da www.radioinblu.it

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